Pubblicato il Rapporto “Investire nell’infanzia” di Alleanza e #educAzioni

10 dicembre 2020

Con questo importante e articolato Rapporto Alleanza per l’Infanzia in collaborazione con la rete #educAzioni, formula una dettagliata proposta di ampliamento, rafforzamento e integrazione della copertura dell’offerta di servizi educativi e scolastici per i bambini tra 0 e 6 anni e degli interventi a sostegno della genitorialità, cui dedicare una quota significativa del fondo Next Generation EU.

Le proposte presentate sono il frutto del lavoro svolto da #educAzioni, una rete che raccoglie al proprio interno 10 reti (tra le quali Alleanza per l’Infanzia), a loro volta composte da un insieme molto ampio di associazioni di terzo settore, del civismo attivo, sindacati e studiosi che da anni si occupano dei diritti dell’infanzia, degli adolescenti e delle loro famiglie.
La stesura del documento è stata coordinata dalla rete Alleanza per l’infanzia attraverso la discussione e l’ascolto dei punti di vista molteplici, articolati e ponderati che ciascuno ha portato, di cui le premesse e le proposte che seguono costituiscono la sintesi.

Partendo da un’analisi della situazione italiana e dal perché sia essenziale per il nostro Paese investire in servizi educativi per la prima infanzia, si propone di arrivare nell’arco di un triennio a:

  • una copertura pubblica di almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni in ciascuna regione, e di arrivare alla gratuità del servizio;
  • una copertura della scuola dell’infanzia del 95% in tutte le regioni per i bambini in età 3-5 anni, a tempo pieno e gratuito;
  • il mantenimento, e in alcuni contesti innalzamento, delle professionalità richieste a chi lavora in questo campo e di condizioni di lavoro adeguate;
  • la piena attuazione dei Poli per l’infanzia.

Covid, le conseguenze dello studio a distanza: la scuola digitale frena la crescita

di Chiara Saraceno

Articolo pubblicato su La Stampa di Torino
Sabato 07 Novembre 2020

La situazione della pandemia è sicuramente grave e richiede responsabilità e sacrifici a tutti.

Purtroppo anche ai più piccoli e giovani. Ma occorre valutare bene quali sacrifici richiedere e quali costi comportano per i soggetti coinvolti. Giovedì il comitato tecnico scientifico ha ufficialmente riconosciuto i costi della didattica a distanza per le bambine/i e adolescenti. Costi sul piano dell’apprendimento, ma anche del benessere piscologico e della fiducia, tanto più intensi e con effetti di medio-lungo periodo per coloro che erano già in condizioni di svantaggio. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, visto che da mesi almeno una parte dei pediatri, degli psicologi dell’età evolutiva, degli insegnanti, dell’associazionismo, denunciano quella che qualcuno ha chiamato una pandemia educativa. Ma decisamente troppo tardi.

Come era tristemente facile prevedere, la chiusura delle scuole e la reclusione degli studenti nelle loro camerette appare uno strumento troppo attraente per rinunciarvi, più semplice e a costo zero per le finanze pubbliche che chiudere i centri commerciali, le sale bingo e per le scommesse, le palestre.

Ci si è scandalizzati della giustificazione – “improduttivi” – addotta da chi vorrebbe isolare in casa i grandi anziani. Ma ci si dovrebbe scandalizzare altrettanto, se non di più, della sistematica sottovalutazione del costo sopportato dai più giovani, della gravità delle enormi restrizioni non tanto o solo alla loro libertà, ma alle loro opportunità di crescita, cui sono sottoposti dalla primavera scorsa: la scuola in presenza, innanzitutto, ma anche la possibilità di fare sport, di svolgere attività organizzate di tempo libero, che pure sappiamo essere importanti per una buona crescita. Costi che non hanno trovato nessuna compensazione. Non mi riferisco, ovviamente, a qualche indennizzo economico. Anche se sicuramente i più svantaggiati rischiano di accrescere le difficoltà che incontreranno nel mercato del lavoro: per l’insufficienza delle competenze acquisite, per l’abbandono precoce del percorso formativo a causa del venir meno della motivazione necessaria e di un ambiente che la sostenga. Mi riferisco a quanto si sarebbe dovuto fare e non si è fatto questa estate, salvo che da parte dell’associazionismo, per recuperare quanto si era perso. Al fatto che, programmando una didattica integrata in parte a distanza in parte in presenza per le superiori (prima della ripresa della pandemia) non ci si è posti né il problema della necessità di innovare la didattica stessa, né di approntare le forme di consulenza e sostegno necessarie per quei ragazzi che non hanno gli strumenti materiali o l’ambiente adatto. Un problema diventato macroscopico con il passaggio al 100 per cento di didattica a distanza che ora, nelle zone rosse, coinvolge anche i ragazzini più piccoli. Solo due settimane fa sono stati stanziati fondi per colmare il divario digitale che tuttora persiste nelle scuole. Anche nella scuola primaria, che per ora rimane teoricamente in presenza, la possibile e ricorrente messa in quarantena di singole classi o di interi plessi non trova una organizzazione preparata a riorientarsi tempestivamente. E si è continuato a far finta di ignorare che non tutti a casa hanno luoghi adatti allo studio, persone che possono dare una mano. Sarebbe necessario mettere a disposizione, anche in collaborazione con l’associazionismo, forme di appoggio a distanza e luoghi sicuri di prossimità, dove i ragazzi/e in piccoli gruppi possano trovare gli strumenti, l’ambiente, le relazioni necessarie ad accompagnarli in questi tempi difficili, a sostenerne la fiducia. Invece, quando si tratta di scuola, e dei più giovani, tutto è sempre all’insegna dell’emergenza e dell’improvvisazione. Alla fine, la delega è sempre alle famiglie (e alle loro disuguali risorse) e alla buona volontà dei singoli. —

La ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina

La ministra della sciatteria

di Chiara Saraceno

Repubblica 24 giugno 2020

Leggi, sempre su Repubblica, anche l’articolo “La scuola ha bisogno di proposte, la ministra Azzolina le ascolti”.

Lo scandalo della disattenzione sulla scuola sembra non avere limite. Oggi la ministra ha fatto avere la sua proposta di linee guida a Regioni e sindacati da cui emergono solo due cose chiaramente, entrambe preoccupanti.

La prima è che, in nome dell’autonomia scolastica, che viene comoda quando dal centro non ci si vuole assumere responsabilità, viene delegato totalmente alle singole scuole come “garantire il ritorno alla didattica in presenza”: turni, divisione delle classi in più gruppi, riaggregazione di gruppi di alunni di classi diverse e anche di anni diversi, didattica mista, un po’ in presenza e un po’ a distanza, aggregazione di diverse discipline in ambiti più grandi, possibilità di usare anche i sabati per i turni. Tutto dipenderà dalle scelte, e dalle possibilità, delle single scuole, senza che siano indicati né condizioni minime, né risorse aggiuntive disponibili, con buona pace dei diritti educativi dei bambini e ragazzi e del diritto dei genitori, specie dei più piccoli, di sapere con ragionevole anticipo come sarà organizzata la giornata e la settimana dei loro figli.
La seconda cosa che emerge da queste “linee guida” è che la Ministra apparentemente non si rende conto che sia i turni, sia la didattica mista, richiedono di aumentare i docenti, perché non si può chiedere agli insegnanti semplicemente di sdoppiarsi, per fare a un gruppo la didattica in presenza e all’altro quella a distanza, o il turno mattutino e poi quello pomeridiano. Al contrario, nelle linee guida è scritto chiaramente che il miliardo a disposizione per il personale dovrà essere dedicato preferibilmente all’assunzione di bidelli e assistenti. Che la Ministra intenda il problema della scuola in epoca Covid 19 come una questione prevalentemente di spazi e sorveglianza emerge anche dalla sua interpretazione delle proposte di attivazione delle risorse educative delle comunità locali, avanzate sia dall’associazionismo civile sia dallo stesso Comitato consultivo da lei insediato ma, evidentemente, non ascoltato.
Nelle linee guida si interpreta l’idea di “patto educativo di comunità” come possibilità sia di usare spazi messi a disposizione della comunità locale sia  di utilizzare chi già faceva attività integrative nelle scuole in  «attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni».  Assente del tutto è l’idea di una organizzazione complessiva della didattica che si apra alla comunità locale, a competenze e attività esterne organizzate in modo non estemporaneo – l’unico modo che potrebbe consentire una effettiva attività educativa in presenza, arricchendola. Infine, nelle linee guida non si fa menzione dei nidi e servizi educativi per la primissima infanzia,  un settore che la Ministra ha ignorato sistematicamente fin dall’inizio, delegandolo di fatto alla Ministra della famiglia, dimenticando che dal 2017 i servizi per la primissima infanzia fanno parte a pieno titolo dei servizi educativi, quindi sono responsabilità del suo ministero.  

Questa sciatteria e mancanza di rispetto per i nostri figli, per le giovani generazioni, sono davvero intollerabili.

Nel nome dei ragazzi. Appello al premier per la scuola dimenticata

di Chiara Saraceno

Nove reti e alleanze che comprendono oltre un centinaio di realtà del terzo settore, dell’associazionismo e del sindacato hanno preparato un documento per chiedere a Conte un incontro

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Si parla tanto di futuro, di ripresa, dell’Italia che verrà, ma i bambini e bambine, le e gli adolescenti, i giovani che si affacciano ora nel mercato del lavoro continuano a essere del tutto marginali, nel migliore dei casi, nell’agenda politica. Di fatto largamente ignorati nel lungo lock down, continuano a essere pressoché assenti dai temi affrontati dagli Stati generali dell’economia. Come se si potesse programmare il futuro senza tener conto dei loro bisogni, diritti, desideri, ignorare il modo in cui le conseguenze della pandemia, a partire dalla chiusura delle scuole, stanno incidendo sulle loro opportunità, sul loro grado di fiducia in un sistema che li ignora mentre li sovraccarica del peso di un debito pubblico sempre più enorme e allarga le disuguaglianze. Basti pensare che nel 2019, anche se per la prima volta dal balzo in alto avvenuto nel 2009 la povertà assoluta era diminuita, essa riguardava un milione e 137 mila (l’11,4%) minorenni. Si stima che questa cifra in questi mesi sia tornata ad aumentare in modo notevole, con conseguenze per la salute, le possibilità di apprendimento e di sviluppo.

Per contrastare l’inaccettabile marginalità, se non disattenzione, del governo ma anche dell’opinione pubblica per il benessere dei più piccoli e più giovani, nove reti e alleanze che comprendono oltre un centinaio di realtà di terzo settore, dell’associazionismo civile e del sindacato, radicate ed impegnate nel mondo della scuola, negli interventi in favore dell’infanzia e dell’adolescenza, hanno deciso di preparare insieme un documento in base al quale chiedere, con una lettera aperta, un incontro a Conte.

Guarda il Webinar EducAzioni – i 5 passi – 17 giugno 2020

Discusso ieri in un webinar che è stato seguito da qualche migliaio di persone, il documento chiede un investimento serio nell’educazione e benessere dei bambini e adolescenti, che corregga gli squilibri.

A questo scopo propone che il 15% delle risorse destinate alla ripresa sia destinato a interventi per migliorare le dotazioni scolastiche e la qualità dell’istruzione e a contrastare la povertà educativa e che venga definito in tempi un piano strategico nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza non settoriale ma integrato, con obiettivi chiari e sistemi di monitoraggio. A queste due richieste se ne collegano altre tre. Una riguarda l’attivazione, a partire dai territori più svantaggiati, dei Poli educativi 0-6 anni, sotto il coordinamento del Ministero dell’Istruzione, previsti dal decreto legislativo 65/20i7 e mai attuati né finanziati , con garanzia di accesso gratuito per le famiglie in difficoltà economica. I servizi che essi dovrebbero coordinare vanno intesi non solo come strumenti di conciliazione famiglia-lavoro, che pure andrebbero rafforzati, ma anche se non soprattutto come risorse educative per tutti i bambini e bambine e come sostegno ai genitori nella loro responsabilità educativa, a prescindere dallo status occupazionale.
Attualmente la scarsità dell’offerta nella fascia 0-3 si traduce in un forte sotto-utilizzo da parte dei ceti più poveri e dei bimbi i cui genitori sono sotto-occupati e a bassa istruzione. Una seconda richiesta, di assoluta urgenza, riguarda l’attivazione di iniziative educative di sostegno ad ampio raggio che raggiungano da subito, senza aspettare settembre, i bambini e ragazzi più colpiti dal black out educativo e da proseguire alla ripresa delle scuole, per contrastare la dispersione scolastica e restituire la fiducia.

Infine, le nove reti segnalano la necessità di costruire patti educativi territoriali per coordinare l’offerta educativa curriculare con quella extracurriculare, mantenendo le scuole aperte tutto il giorno. Non si tratta solo di fare un inventario degli spazi disponibili per moltiplicare le aule, e neppure, come per il passato, di attivare progetti più o meno estemporanei. Piuttosto di costruire un modello cooperativo, valido anche per il futuro, di corresponsabilizzazione di tutti i soggetti interessati all’educazione, incluse le famiglie e i ragazzi stessi, che finora sono stati considerati solo come terminali passivi di decisioni altrui.

È sperabile che il presidente Conte, dopo aver ascoltato le categorie e gli esperti più vari, ed essersi (auto)congratulato per il ritorno a scuola degli studenti per un esame di maturità dimezzato (a differenza dei loro coetanei europei che invece sono tutti tornati regolarmente a scuola normalmente), ascolti anche chi rappresenta le migliaia di educatori, insegnanti, operatori sociali ricercatori che lavorano con e per i bambini, bambine, adolescenti e le loro famiglie.

Leggi l’articolo su REP:

Ripartiamo dai bambini: non servono toppe, ma un vestito nuovo

28 MAGGIO 2020
Intervista di Sara De Carli a Alessandro Rosina

Per Alessandro Rosina, uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia, le due priorità a cui dare subito risposta sono i servizi per l’infanzia (la fascia 0/3 non è coinvolta nemmeno nei centri estivi) e il contrasto alla dispersione scolastica per gli adolescenti.

«Le soluzioni contingenti e frammentate sono come le toppe che si mettono ad un vestito sgualcito, che nel complesso risulta sempre fuori misura. Abbiamo invece bisogno del disegno di un vestito nuovo»

Bambini e ragazzi finora sono stati invisibili, con una pressoché totale rimozione della dimensione educativa della crisi. Ma adesso, che fare? Come cambiare le cose? Da più parti si dice che devono essere al centro per la ripartenza, si moltiplicano gli appelli e i manifesti, le agende e le proposte. Alessandro Rosina è uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia: a lui chiediamo di indicarci due priorità.

LEGGI L’INTERVISTA SU VITA