I nostri giovani senza un futuro

di Chiara Saraceno, La Stampa 15 luglio 2020

Il calo demografico, di cui ha scritto anche Sabbadini ieri su questo giornale, non sarebbe un problema, se si trattasse solo di una riduzione numerica della popolazione. 

Potrebbe persino sembrare un segnale positivo a chi pensa che siamo già in troppi. Il problema è che questo calo è dovuto alla combinazione di tre fenomeni che insieme riducono la capacità di ricambio generazionale nel nostro Paese… continua su LaStampa.it

L’Italia intrappolata nella crisi demografica, l’emergenza è la natalità

di Alessandro Rosina, 13 luglio 2020

Record minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia: meno 4,5% rispetto al 2018. La crisi nel lavoro frena la scelta di avere un figlio

L’Italia si trova intrappolata da lungo tempo in una profonda crisi, più insidiosa di qualsiasi recessione economica o altro tipo di emergenza. Si tratta della crisi demografica. I dati sul bilancio demografico nazionale, appena pubblicati dall’Istat, certificano che nel 2019 le nascite sono precipitate a 420 mila. La pandemia provocata da Covid-19 si annuncia avere conseguenze particolarmente pesanti sulla natalità del 2020 e del 2021, avendo frenato in larga parte… continua su Repubblica.it

Considerazioni Alleanza per l’Infanzia sulla proposta di legge delega testo unificato AC 687

11 luglio 2020

Considerazioni generali

Cruciali, per la significatività della misura e il fatto che sia davvero percepito come universale, saranno le risposte fornite a quanto ammonterà la componente uguale per tutti, così come sarà modulato l’importo progressivo. Se la componente uguale per tutti risultasse troppo bassa, oltre a diventare uno spreco inutile di denaro, è difficile che l’assegno venga percepito come universale e produca un impatto trasformativo sulle famiglie e sulle loro scelte. Non basta, quindi, che sia uno strumento che migliori l’efficienza rispetto alle attuali misure, ma deve avere anche una riconoscibile e misurabile efficacia.

Occorre che il nuovo strumento non faccia rimpiangere il sostegno fornito da quelli attualmente vigenti, per cui va inserita esplicitamente una specifica clausola transitoria di salvaguardia, che indichi come nessuno degli attuali beneficiari delle varie misure possa trovarsi in una situazione meno vantaggiosa rispetto a quella assicurata dalla legislazione vigente.

IPOTESI EMENDATIVA: Aggiungere all’art. 2 c.1 la lettera i) la previsione già contenuta nel testo originario del Ddl all’art. 2 c.1 lett o): “adozione di strumenti di integrale compensazione qualora il beneficio complessivo risulti inferiore al beneficio complessivo fruito prima della data di entrata in vigore della presente legge”.

Occorre anche mantenere le misure che tutelano i nuclei familiari in cui non è presente un figlio e che ad oggi sono beneficiari dell’assegno al nucleo familiare.

Infine, l’assegno universale, e quindi anche i fondi ad esso allocati, vanno in ogni caso intesi come una parte molto importante, ma parziale, delle misure rivolte a sostenere la crescita e lo sviluppo delle persone di minore età. Un’altra parte, altrettanto importante, è costituita dai servizi educativi, sul cui rafforzamento e ampliamento   è altrettanto necessario intervenire. 

Osservazioni specifiche

Art. 1

Art. 1 lettera b): “l’ammontare dell’assegno di cui al comma 1 è modulato sulla base della condizione economica del nucleo familiare, come individuata attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) o sue componenti, tenendo conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel nucleo familiare”

Il riferimento all’ISEE “o sue componenti” potrebbe presentare alcune criticità. L’ISEE infatti tende a sopravvalutare il peso del patrimonio, ad esempio la ricchezza immobiliare, che a volte è del tutto illiquidabile. Per la determinazione dell’assegno sarebbe meglio considerare solo il reddito familiare, possibilmente quello corrente, come avviene attualmente per ‘assegno al nucleo familiare. E’ noto, infatti, che l’ISEE, a meno di situazioni particolari, computa i redditi contenuti relativi a due anni prima, che possono avere scarsa corrispondenza con il reddito disponibile al momento dell’erogazione dell’assegno. Nel caso di una coppia di formazione recente, può persino riferirsi ad un periodo in cui i due non erano ancora una famiglia. Il riferimento all’ ISEE potrebbe essere mantenuto come soglia cautelativa al di sotto della quale accedere all’importo maggiorato rispetto a quello base,per evitare di favorire quanti presentano dichiarazioni mendaci.  

IPOTESI EMENDATIVA: “l’ammontare dell’assegno di cui al comma 1 è modulato sulla base della condizione economica del nucleo familiare, come individuata attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) o sue componenti o il reddito familiare equivalente, tenendo conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel nucleo familiare

Art. 1 comma d):“l’assegno di cui al comma 1 è pienamente compatibile con la fruizione del reddito di cittadinanza, di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ed è corrisposto congiuntamente ad esso con le modalità di erogazione del reddito di cittadinanza. Nella determinazione dell’ammontare complessivo si tiene eventualmente conto della quota del beneficio economico del reddito di cittadinanza attribuibile ai componenti di minore età presenti nel nucleo familiare, sulla base di parametri della scala di equivalenza di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 4 del 2019”

Ottimo e dovuto/equo che anche i beneficiari di reddito di cittadinanza possano ricevere l’assegno. Non si capisce tuttavia la specificazione: “Nella determinazione dell’ammontare complessivo si tiene eventualmente conto della quota del beneficio economico del reddito di cittadinanza attribuibile ai componenti di minore età presenti nel nucleo familiare, sulla base di parametri della scala di equivalenza di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 4 del 2019;” A parte che al momento attuale la scala di equivalenza RdC è sfavorevole ai figli minori, non si vede perché, mentre per le  altre famiglie l’assegno si aggiunge al reddito familiare complessivo, nel caso dei più poveri, e per questo beneficiari di RdC (che sostituisce reddito assente per soddisfare bisogni essenziali e non ha obiettivi di sostegno alla genitorialità), invece l’assegno dovrebbe venire decurtato in base alla  quota parte per i figli in esso. Appare un atteggiamento punitivo e creatore di iniquità. Si tratta di una previsione che mal si concilia con il riconoscimento di un sostegno specifico ai minori di carattere universale e che non trova analoga corrispondenza in quanto previsto nel caso siano presenti figli con disabilità, generando, quindi, una penalizzazione mirata per i beneficiari di assegno unico in condizione di povertà.

IPOTESI EMENDATIVA: Abrogare il secondo periodo della lettera d) articolo 1, da “Nella determinazione…” a “del 2019”.

Art 1 lettera g): “l’assegno di cui al comma 1 è concesso nella forma di credito d’imposta ovvero di erogazione mensile di una somma in denaro”

Sarebbe consigliabile lasciare ai genitori la scelta se ricevere l’assegno come credito di imposta (in caso di capienza totale) o di assegno mensile. Tra l’altro, può succedere che un genitore sia fiscalmente capiente e l’altro no. Inoltre, che cosa succede nel caso uno solo dei genitori sia titolare di reddito? 

IPOTESI EMENDATIVA: “l’assegno di cui al comma 1 è concesso nella forma di credito d’imposta ovvero di erogazione mensile di una somma in denaro. I genitori hanno la facoltà di indicare esplicitamente per quale delle due soluzioni optano”

Art 1 lettera h): “è istituito un organismo aperto alla partecipazione delle associazioni di tutela della famiglia maggiormente rappresentative, al fine di monitorare l’attuazione e verificare l’impatto dell’assegno di cui al comma 1”

Sarebbe auspicabile evitare un ennesimo organismo di monitoraggio e valutazione della misura, in luogo di rimandare tale importante attività ai già costituiti Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e Osservatorio Nazionale per la Famiglia. 

IPOTESI EMENDATIVA: Modificare lettera h) art. 1: “È attribuito all’Osservatorio nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e all’Osservatorio Nazionale per la Famiglia, in sede congiunta, il monitoraggio dell’attuazione e la verifica dell’impatto dell’assegno di cui al comma 1”. 

Art. 2

Art. 2 lettera b): “riconoscimento di un assegno mensile, di importo inferiore a quello riconosciuto per i minorenni, per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento del ventunesimo anno di età, con possibilità di corresponsione dell’importo direttamente al figlio, su sua richiesta, al fine di favorirne l’autonomia. L’assegno è concesso solo nel caso in cui il figlio maggiorenne frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea, svolga un tirocinio ovvero un’attività lavorativa limitata con reddito complessivo inferiore a un determinato importo annuale, sia registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l’impiego o un’agenzia per il lavoro o svolga il servizio civile universale”.

La previsione sul sostegno ai figli maggiorenni (fino al compimento del 21 anno di età) occupati, ma con redditi bassi, o disoccupati o inseriti in percorsi di politiche attive rischia di creare uno strumento ibrido poco efficace nell’obiettivo di dare risposte adeguate a problematiche differenti e complesse. 

Più opportuno sarebbe limitare con precisione il riconoscimento dell’assegno unico universale ai figli fino ad una età determinata ed un determinato reddito, fiscalmente a carico dei genitori fino al compimento del ventunesimo anno di età, invitando i ministeri competenti arafforzare le politiche per il diritto allo studio, la formazione continua e l’attivazione lavorativa.

Art. 2 lettera e): “Con riferimento ai requisiti di accesso, cittadinanza, residenza e soggiorno, il richiedente l’assegno deve cumulativamente: 1) essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea, o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale; 2) essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia; 3) vivere con i figli a carico in Italia; 4) essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale

Il requisito 2 (“essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia”) include anche gli incapienti, ovvero coloro che non hanno redditi da dichiarare o redditi così bassi da non essere tassabili? 

Il requisito 4 (“essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale”) non è in contrasto con il requisito 1 che parla di possesso “del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca durata almeno annuale”?

Si consiglia di riformulare meglio il testo per evitare fraintendimenti o discrepanze. In ogni caso il requisito di una residenza almeno biennale appare eccessivo.

Art. 3

Art 3 comma 1 lettera b: “dalla soppressione, nel quadro di una più ampia riforma del sistema fiscale, delle seguenti misure: 1) detrazioni fiscali previste dall’articolo 12, commi 1, lettera c), e 1-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; 2) assegno per il nucleo familiare, previsto dall’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153, nonché assegni familiari previsti dal testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797.” 

Art 3, comma 2: “All’attuazione delle deleghe di cui agli articoli 1 e 2 si provvede nei limiti delle risorse di cui al comma 1 del presente articolo. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno o mediante l’utilizzo delle risorse di cui al comma 1, essi sono adottati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196”

Siamo consci che nel caso in cui venga messa in campo una riforma fiscale -in particolare dell’Irpef- il nuovo strumento non possa prescinderne, sia per le risorse economiche che la riforma potrebbe liberare e che potrebbero essere destinate per il sostegno ai figli, sia per determinare una quantificazione complessivamente più accurata dei benefici per le famiglie destinatarie. Riteniamo tuttavia che l’introduzione dell’assegno unico universale andrebbe attuata anche in assenza di una completa riforma fiscale. 

Da questo punto di vista, sarebbe più opportuno stabilire da subito che occorre un provvedimento legislativo che stanzi risorse aggiuntive a quelle reperibili con l’assorbimento delle misure esistenti ed a quelle attualmente disponibili nel Fondo assegno universale e servizi alla famiglia, effettivamente in grado di creare uno strumento di welfare pienamente universale, e, quindi, ottenibile anche dai lavoratori incapienti o autonomi, riconoscendo la necessità di sostenere i bambini e adolescenti in quanto tali nei loro bisogni di crescita e sviluppo, senza subire penalizzazioni dettate dalla condizione occupazionali dei genitori. Altrimenti questo dlgs nasce morto, perché l’assorbimento non basterà a finanziare un assegno universale. Si può dire che si impegna il governo a stanziare le risorse aggiuntive necessarie una volta definito l’importo base e i criteri per il suo aumento in base al reddito e ad altre dimensioni.

Per quanto concerne il finanziamento, il tema più rilevante è posto dalla natura delle risorse che lo andrebbero a comporre, ovvero, parte a carico della fiscalità generale e parte a carico di contribuzione che al memento grava solo sul lavoro dipendente. Bisognerà quindi prevedere degli interventi volti ad armonizzare queste fonti di finanziamento.

Se allo Stato la scuola non importa

di Chiara Saraceno

La Stampa 9 luglio 2020

Contrordine.  Dopo promesse e impegni solenni anche da parte del presidente Conte di evitare che il già tormentato inizio della scuola a settembre sia ulteriormente complicato, nelle regioni coinvolte, dall’interruzione elettorale, il Viminale ha gettato la spugna. Non si può. Perché nelle caserme la legge lo vieta, a meno che non siano dismesse. E le Poste hanno detto di no all’interruzione del servizio per i giorni necessari. Ed anche se i comuni trovassero altri luoghi, il costo dell’adattamento e della informazione agli elettori sul cambio della sede della loro circoscrizione elettorale sarebbe troppo oneroso. Si è riusciti a chiudere un intero paese per mesi, e da un giorno all’altro, ma collocare i seggi elettorali in luoghi diversi dalle scuole sembra un compito impossibile.

Come da copione, i diritti della scuola, delle bambine/i e ragazzi/e vengono per ultimi. L’interruzione di pubblico servizio è una motivazione legittima per il diniego delle poste a concedere i propri uffici, ma non lo è per la scuola, evidentemente, nonostante l’enorme debito che ha maturato in questi mesi nei confronti dei suoi studenti. E mentre c’è la rincorsa a modificare le regole per facilitare la ripresa dell’economia, le uniche regole intoccabili sembrano essere quelle che scaricano sulla scuola esigenze che non fanno parte del suo mandato. Non si capisce perché, visti i tanti provvedimenti d’urgenza, non si possano modificare anche  le norme sui luoghi  in cui collocare i seggi elettorali. Così come non si capisce perché non sia possibile affrontare l’eventuale costo di un adattamento a seggi elettorali di spazi alternativi per rispettare la priorità del dovere della scuola rispetto ai suoi studenti. Quanto alla necessità di informare gli elettori sul cambio di indirizzo della sede elettorale, non mi sembra davvero una questione particolarmente insormontabile. Non occorre cambiare le schede elettorali, basta mandare una lettera che l’elettore/elettrice porterà con sé quando andrà a votare. 

Insomma, tutte queste difficoltà sono insormontabili solo perché si tiene ferma la funzione ancillare della scuola rispetto ad esigenze altre e si mettono sistematicamente in secondo piano i diritti educativi dei ragazzi/e.

Ciò avviene troppo spesso, ma è intollerabile in modo particolare quest’anno, dopo la lunga interruzione della didattica in presenza e la perdurante incertezza su come avverrà la ripresa. Proprio in questi giorni sono usciti i dati AGCOM sulla percentuale di studenti di ogni ordine e grado che o non hanno avuto nessuna didattica a distanza (10%) o la hanno avuta solo in modo sporadico (20%) per motivi legati alla difficoltà di connessione, o alla mancanza di strumenti e spazio adeguati.

Tutti i dati disponibili, provenienti da più osservatori sul territorio, segnalano come in questi mesi siano aumentate le già troppo elevate povertà educativa e dispersione scolastica. Lo ha denunciato anche il documento EducAzioni  di nove reti di oltre 400  associazioni della società civile e dei sindacati pubblicato quindici giorni fa, che è stato oggetto di un incontro con il Presidente Conte e le ministre Azzolina e Bonetti questo lunedì. 

Per contrastare questi fenomeni è importante, come si è iniziato a fare, mettere a disposizione risorse per garantire a tutti la dotazione necessaria di strumenti. Ma occorre anche dare un segno visibile della centralità della scuola e dei diritti degli studenti, della loro non sacrificabilità ad altre priorità. Si sta già facendo troppo poco per compensare il debito che la scuola ha contratto con i suoi studenti in questi mesi.

Aspettare settembre per molti di loro potrebbe essere troppo tardi. Interrompere a scuola appena iniziata, o ritardarne l’inizio a dopo le elezioni, come stanno decidendo alcune regioni, sarebbe l’ennesimo messaggio negativo sulla secondarietà, se non marginalità, della scuola e dei diritti degli studenti, che getta una pesante ombra sulle affermazioni circa la loro centralità per la ripresa. 

Prima le donne e i bambini: la ricetta degli esperti per la ripresa del Paese

Intervista ad Alessandro Rosina

su QuiMamme.it

Il 6 luglio, il Presidente del Consiglio, le Ministre dell’Istruzione, della Famiglia e delle Pari Opportunità e il vice Ministro dello Sviluppo Economico hanno ricevuto una delegazione di rappresentanti di nove reti impegnate nei settori del welfare e dell’educazione, per discutere provvedimenti concreti a favore delle famiglie e delle nuove generazioni come base per il rilancio del Paese dopo l’emergenza Coronavirus e la crisi economica

I Ministri hanno invitato gli esperti delle reti a partecipare alla stesura del programma per utilizzare il fondo per la ripresa a disposizione delle nazioni europee, il Next Generation EU. “Speriamo che alle buone intenzioni manifestate seguano i fatti. Ci vuole un deciso cambio di passo rispetto alle politiche degli ultimi anni per favorire l’occupazione femminile, combattere la povertà materiale e culturale dei bambini e risollevare la natalità in Italia”, dice Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica Sociale dell’Università Cattolica di Milano, tra i fondatori di Alleanza per l’Infanzia, una delle reti che hanno preso parte all’incontro. Insomma, è importante ripartire da famiglie, donne e bambini.

Proposte mirate

“Abbiamo sintetizzato in cinque punti i provvedimenti che a nostro parere sono critici per porre rimedio a una lunga stagione di trascuratezza su questi temi”, spiega Rosina. Ecco quali sono.

  1. Attivazione, a partire dai territori più svantaggiati, dei Poli educativi 0-6 anni, sotto il coordinamento del Ministero dell’Istruzione, con garanzia di accesso gratuito per le famiglie in difficoltà economica;
  2. costruzione di patti educativi territoriali per coordinare l’offerta educativa curriculare con quella extracurriculare, mantenendo le scuole aperte tutto il giorno, coordinati e promossi dagli enti locali, in collaborazione con le scuole e il civismo attivo;
  3. possibilità di raggiungere i più colpiti dal black out educativo a partire dall’estate, con una offerta educativa personalizzata, da proseguire alla ripresa delle scuole, con un’attenzione speciale al benessere psicologico, alle necessità degli alunni disabili e agli adolescenti usciti dal circuito scolastico;
  4. allocazione del 15% del totale degli investimenti per il superamento della crisi in educazione per dotare le scuole delle risorse necessarie, migliorare la qualità dell’istruzione rendendola più equa e incisiva, contrastare la povertà educativa e la dispersione;
  5.  definizione di un piano strategico nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza, con obiettivi chiari e sistemi di monitoraggio, per promuovere il rilancio diffuso delle infrastrutture sociali ed educative.

L’impatto della crisi su famiglie, donne e bambini

Perché è tanto importante ripartire da famiglie, donne e bambini? I primi due mesi di isolamento, marzo e aprile, sono costati cari all’economia e alla società italiana: 450 mila occupati in meno, secondo i dati pubblicati nel Rapporto Istat 2020. Per lo più si è trattato di giovani e donne che, bloccati a casa dal lockdown, hanno perso il lavoro e non hanno avuto la possibilità di cercarne uno nuovo.

“L’emergenza non ha fatto altro che acuire un problema strutturale che esisteva da anni, una disuguaglianza di vecchia data”, osserva Alessandro Rosina. “La crisi ha penalizzato le situazioni professionali più vulnerabili: le occupazioni precarie, con contratti a termine, quelle part time, il lavoro irregolare. In tempi di ristrettezze, sono  i primi posti che saltano. E oggi, in Italia, in questa posizione si trovano principalmente i giovani e le donne, quindi soprattutto le giovani donne”.

Sulle spalle delle donne

I dati dell’Istat lo confermano: l’occupazione femminile nel nostro Paese è in assoluto più bassa rispetto a quella maschile ed è anche di qualità inferiore, con un alto tasso di irregolarità e di instabilità. Per quale ragione?

“Perché per motivi culturali, si pensa che spetti alla donna più che all’uomo la cura della casa e della famiglia”, risponde Rosina. “Quando occorre fare delle rinunce per conciliare lavoro e impegni familiari, ci si aspetta che sia la donna a farle”.

Anche su questo punto, i dati del Rapporto Istat parlano chiaro: il 42,6% delle donne con figli di età compresa tra 0 e 5 anni modifica gli orari e le condizioni di lavoro per conciliarli con la cura della famiglia, contro il 12,6% dei padri di bambini nella stessa fascia di età.

“Durante la quarantena, il carico di lavoro delle donne si è aggravato, con i figli a casa da scuola e dall’asilo, l’impossibilità di fare affidamento sull’aiuto dei familiari, la necessità di assistere i bambini nei compiti”, osserva l’esperto. “Anche in questo caso, l’impegno è gravato soprattutto sulle madri, che hanno avuto meno tempo per lavorare, anche da casa, e in tante hanno dovuto rinunciare del tutto al loro impiego”.

Troppo pochi i servizi per l’infanzia

Oltre a sostenere un profondo cambiamento culturale nei ruoli delle madri e dei padri nella gestione della famiglia, per risolvere il problema occorrono maggiori investimenti nel campo dei servizi per l’infanzia e per le famiglie, soprattutto nelle Regioni del Sud e soprattutto a vantaggio delle fasce di popolazione economicamente più deboli. 

Nel Sud Italia, meno del 15% dei bambini da 0 a 3 anni ha accesso al nido o ad altre strutture educative. Solo cinque Regioni hanno raggiunto l’obiettivo europeo di offrire posti al nido al 33% dei bambini e sono tutte al Centro-Nord. In tutto il Paese accede al nido il 13% dei bimbi appartenente alla fascia economicamente più svantaggiata, contro il 31,2% della fascia più avvantaggiata.

Contrastare la povertà educativa

“Bisogna aprire più nidi, che siano di qualità e accessibili gratuitamente alle famiglie in difficoltà economica”, dice Rosina. “In questo modo le madri non saranno costrette a rinunciare al lavoro o a intraprendere percorsi professionali marginali e precari. L’economia del Paese ha bisogno del lavoro delle donne. E c’è di più: i servizi per l’infanzia non sono parcheggi per tenere buoni i bambini e liberare le madri, sono preziosi presidi socio-educativi per i più piccoli, a contrasto della povertà educativa e della povertà infantile, per il bene delle nuove generazioni che saranno i cittadini di domani”.

In queste condizioni non stupisce che le coppie in Italia facciano sempre meno figli, nonostante i dati dell’Istat ci dicono che il 46% ne vorrebbe almeno due e il 21,9% tre o più. Anche la denatalità si è acuita a causa dell’emergenza Coronavirus: secondo le stime dell’ente, tra il 2020 e il 2021 nasceranno 10 mila bambini in meno, a meno di non attuare in tempi rapidi provvedimenti adeguati. Ecco perché è così importante ripartire da famiglie, donne e bambini.

Maria Cristina Valsecchi