Afghanistan, i bambini soli di Kabul

Nel Paese 10 milioni di minorenni hanno bisogno di aiuti

di Chiara Saraceno

La Repubblica, 19 agosto 2021

Le immagini che mostrano folle, in stragrande maggioranza di uomini, che tentano la fuga dall’Afghanistan sembrano confermare indirettamente che poco o nulla era cambiato in quel Paese nei rapporti tra uomini e donne e tra le generazioni, ma anche tra città e zone rurali, nei vent’anni di occupazione da parte delle truppe Nato. Nella maggior parte del Paese e dei gruppi sociali vigeva la legge islamica, le adultere venivano ancora arrestate, fustigate e lapidate, i matrimoni forzati delle bambine continuavano a essere la norma. Quasi quattro milioni di bambine e bambini non andavano a scuola e le violenze contro i minori erano diffuse, così come i reclutamenti forzati per farne dei soldati.

Secondo l’Unicef, l’Afghanistan è da molti anni uno dei posti peggiori sulla terra dove essere un bambino o una bambina. A ciò si aggiunga, negli ultimi due anni, la siccità e le conseguenze del Covid 19, che hanno avuto un impatto devastante sulle stesse chance di sopravvivenza della popolazione più povera, lontana dall’occhio dei media nazionali e internazionali, e ancor più tra i bambini in essa. Come segnala anche Save the Children, la situazione umanitaria per i bambini in Afghanistan era già disastrosa. L’accelerazione del conflitto armato e gli sfollamenti di massa hanno peggiorato una situazione già grave.

Nelle parole del capo delle operazioni sul campo e dell’emergenza dell’Unicef, Mustapha Ben Messaoud: “Ogni singolo giorno che passa, l’acutizzarsi del conflitto in Afghanistan impone un tributo maggiore alle donne e ai bambini del Paese. Infatti, dall’inizio dell’anno, più di 550 bambini sono stati uccisi, 1400 feriti. Tragicamente, come ha chiarito il quinto rapporto del Segretario Generale dell’Onu sui bambini e il conflitto armato in Afghanistan – le perdite di minori nella prima metà di quest’anno hanno costituito il più alto numero di bambini uccisi e mutilati da quando i casi vengono registrati dalle Nazioni Unite”.

Si prevede che, senza un’azione urgente, 1 milione di bambini sotto i 5 anni saranno gravemente malnutriti entro la fine del 2021, e 3 milioni soffriranno di malnutrizione acuta moderata. Molti di loro vivono nei campi dove si raccolgono gli sfollati, che spesso mancano di beni essenziali, a partire dall’acqua. Altri vivono per strada, con o senza adulti.

Unicef stima che dei 18 milioni (la metà circa della popolazione afghana) che ha bisogno di assistenza umanitaria, 10 milioni siano minorenni. È altamente improbabile che queste bambine e bambini, e le loro mamme, possano anche solo pensare di raggiungere un aeroporto dove lottare per un passaggio fuori dal Paese, abbiano “titolo” per essere considerati meritevoli di protezione internazionale, a causa della collaborazione con i paesi Nato occupanti, per entrare in un qualche corridoio umanitario che li trasporti in luoghi più sicuri. Difficilmente, ora come ieri, suscitano l’attenzione solidale riservata a chi sta per perdere, o ha già perso, ciò che credeva di aver conquistato e comunque faceva parte della piccola quota dei “visibili” allo sguardo occidentale.

È sicuramente importante e doveroso che vengano aperti corridoi umanitari per le donne e i bambini che vogliono, o devono, fuggire dal Paese. Lo chiedono molte associazioni della società civile, impegnandosi anche a mettere a disposizione risorse e competenze per favorire l’accoglienza di chi arriverà. Ma occorre pensare a chi invece rimane, soprattutto ai più piccoli, per motivi di umana decenza, innanzitutto, ma anche per evitare, come non si è fatto abbastanza in questi vent’anni, di lasciare nella invisibilità una parte numericamente così ampia della generazione più giovane, rendendola facile preda, se riesce a sopravvivere, di ogni potere violento.

Per questo Unicef e Save the Children chiedono di poter continuare a svolgere il loro lavoro in quel Paese, in condizioni di sicurezza.

Alessandro Rosina ospite di ‘Giorno per Giorno’ (RAI Radio1)

Questa mattina Alessandro Rosina – assieme a Raffaella Milano (Save the Children) – è intervenuto nella trasmissione di RAI Radio 1 “Giorno per giorno” per affrontare il tema BAMBINI E MILLENIALS AI TEMPI DEL COVID. Naturalmente si è parlato del comunicato di Alleanza per l’Infanzia che chiedeva al governo di mettere al centro della Fase 2 bambini e adolescenti.

Ascolta la trasmissione GIORNO PER GIORNO (dal minuto 33 circa)

Copertina RPS 4/2019

Come le diseguaglianze nascono, crescono e possono essere contrastate

How early inequalities develop, grow and can be effectively tackled

di Giorgio Tamburlini
su la Rivista delle Politiche Sociali /
Italian Journal of Social Policy, 4/2019

A partire dai risultati di un’indagine promossa da Save the Children (2019), finalizzata a valutare nelle sue varie dimensioni lo sviluppo di bambini di età compresa tra 42 e 54 mesi, vengono discusse le cause e i meccanismi dell’insorgere precoce di diseguaglianze. Sulla base delle evidenze riguardanti le politiche e gli interventi efficaci, vengono poi fornite indicazioni per un adeguato contrasto. Si sottolinea come sia necessaria una combinazione di misure tese a combattere povertà, esclusione sociale e bassa scolarità e di investimenti per promuovere lo sviluppo precoce e sostenere le famiglie nelle loro competenze genitoriali.

ENGLISHBuilding on the results of a recent survey (Save the Children, 2019) carried out in Italy and do-cumenting significant inequalities in children aged 42 to 54 months across all dimensions of development, the underlying causes and mechanisms of the early establishment of inequalities are described. Based on the evidence on effective policies and interventions, indications are provided on how to effectively tackle early inequalities. Policies and interventions should ensure a combination of measures to address poverty, unemployment, social exclusion and low literacy, with focused investments to promote early child development and interventions to support and empower families in their parental role.

Leggilo sulla rivista:
https://www.ediesseonline.it/prodotto/rps-n-4-2019/

Riferimenti rivista
RPS N. 4/2019 La crisi demografica
Ottobre-Dicembre 2019 ISBN: 1724 – 5389

foto articolo Avvenire.it

Genitorialità. Necessario lavorare con le famiglie

L’importanza del sostegno alle competenze e pratiche genitoriali

Caro direttore,
le difficoltà delle famiglie si trasferiscono inevitabilmente sui bambini. All’età di 4 anni, come una vasta letteratura scientifica dimostra e come evidenziato anche dalla recente indagine svolta in Italia da Save the Children, i bambini sono già diversi, o meglio diseguali, nelle loro competenze, sia quelle cognitive che quelle socio-relazionali, e nel rischio di sviluppare ritardi e disordini di sviluppo.

Alla radice di queste diseguaglianze certamente vi sono, nei casi più gravi, anche alterazioni neurobiologiche, ma soprattutto carenze significative in quello che è stato definito come ‘ambiente di apprendimento familiare’, quindi nelle relazioni, negli atti, negli oggetti, negli spazi che costituiscono la principale fonte di apprendimento per il bambino nei suoi primissimi anni di vita. Se questo ambiente è inadeguato, povero di attenzioni, risposte, opportunità, parole, gioco, storie, lo sviluppo del bambino ne risente, su più dimensioni, con conseguenze sul suo successivo percorso scolastico, benessere mentale ed esiti sociali.

Se questo è vero – come dimostrano oltre due decadi di ricerche in campi diversi, dalle neuroscienze alla psicologia dello sviluppo, e di studi che hanno indagato gli itinerari di vita dalla nascita all’età adulta – occorre che l’azione legislativa e quella amministrativa non si limitino ai pur necessari interventi di sostegno al reddito, di messa a disposizione di servizi educativi e di ampliamento dei congedi parentali – che restano le architravi delle politiche per le famiglie – ma comprendano servizi che, lavorando direttamente con le famiglie – con le madri, con i padri e con gli altri caregiver – ne sostengano le conoscenze (pochi genitori ad esempio vengono informati dei bisogni evolutivi del bambino e di come rispondervi) e soprattutto le pratiche, il fare quotidiano, per renderlo più nutriente per le menti in formazione.

Tenendo conto che la stessa efficacia del nido sullo sviluppo è mediata in misura significativa da quello che accade nelle famiglie, e quindi dalle attività facilitanti lo sviluppo che vi vengono condotte: in altre parole, un nido di qualità produce molti più benefici se accompagnato da un tempo familiare di qualità, caratterizzato cioè da relazioni e interazioni ricche. La stessa indagine condotta da Save the Children dimostra che le attività, quali ad esempio la lettura, che vengono svolte nell’ambito della famiglia, hanno un peso sulle diseguaglianze che si sviluppano nei primi anni. Non mancano esempi all’estero e in Italia di interventi che questo fanno e che si sono dimostrati in grado di produrre risultati.

Questi servizi vanno portati a sistema, vanno concepiti e offerti come opportunità per tutti e non solo per situazioni di particolare vulnerabilità. Infatti, accanto alle problematiche che continuano a colpire non poche famiglie con bambini – quali povertà materiale ed educativa, violenza domestica, esclusione sociale, dipendenze – ne stanno comparendo altre, come testimoniano tutti gli operatori impegnati nei servizi sanitari ed educativi per l’infanzia: disorientamento nelle scelte educative, isolamento sociale, incertezza sul futuro, sfiducia nelle istituzioni e nei servizi.

Diversamente dalle prime, che colpiscono una parte certo non trascurabile ma minoritaria di famiglie con bambini, le seconde riguardano le nuove madri e i nuovi padri in misura maggioritaria e trasversale alle classi sociali. Si tratta dunque di concepire, anche per evitare servizi che si connotino come servizi per persone in difficoltà, interventi semplici e di natura universale, sia pure poi modulabile in base ai bisogni. È una prospettiva che ormai è necessario assumere. Sia il settore pubblico sia quello privato, a livello nazionale come delle singole comunità, devono impegnarsi e allearsi per essere all’altezza di questo compito: sui primi anni, come ha scritto Lya Luft, «si cammina tutta la vita».


Articolo pubblicato venerdì 14 febbraio 2020 su AVVENIRE.IT

Genitorialità. Necessario lavorare con le famiglie

Nota alla proposta di assegno unico

di Chiara Saraceno

Negli interventi, assolutamente necessari, e con ricadute importanti sia per lo sviluppo precoce dei bambini che per l’occupazione femminile, a supporto dell’accesso a servizi per l’infanzia, occorre porre molta attenzione a non mettere sullo stesso piano servizi di significato e valore molto diverso. 
Da una parte infatti vi sono servizi quali i nidi e servizi integrativi che si propongono un fine educativo, dall’altra servizi che si propongono un intento prevalente o esclusivo di “facilitazione logistica” per i genitori, quali baby parking e altre tipologie caratterizzate dall’assenza di coinvolgimento delle famiglie e scarsa o nessuna trasmissione di competenze da parte degli operatori ai genitori.
Una cospicua e crescente mole di studi, effettuati sia in campo internazionale che in Italia, documenta i benefici, in particolare per bambini di famiglie di medio-basso livello socio-economico e culturale, della frequenza di nidi di qualità.

L’accesso a questi servizi, che nella loro grande maggioranza si fondano su solide basi pedagogiche, con diverse esperienze italiane che costituiscono riferimento di eccellenza in tutto il mondo, consente ai bambini di usufruire di opportunità di sviluppo sul piano cognitivo, socio-relazionale e dell’autonomia che le famiglie, o per lo meno la grande maggioranza di queste, non sono in grado di offrire. Va quindi fortemente supportato dalle politiche pubbliche, sia abbassando la soglia di accessibilità economica, sia soprattutto aumentando l’offerta, che in buona parte d’Italia è ancora del tutto insufficiente, sia ancora creando consapevolezza nelle famiglie e nelle comunità che inviare i propri bimbi al nido rappresenta un grande investimento per il futuro, sia immediato che a lungo termine, a prevenzione della dispersione scolastica e di altri esiti sfavorevoli.  Con un ritorno dell’investimento pari a moIte volte il costo sostenuto inizialmente.
Inoltre, quando i genitori sono coinvolti, anche per breve tempo, nelle attività educative (lettura, gioco, musica e movimento, piccolo giardinaggio, cura ambientale, ecc.) possono coglierne l’importanza e la fattibilità a casa, osservare il piacere che i bambini (e loro stessi) ne ricavano, e motivarsi quindi a utilizzare il tempo a disposizione con i propri figli in attività costruttive del loro sviluppo.

Una recentissima indagine (2019) effettuata da Save the Children su un campione di bimbi di 3,5-4 anni, residenti in varie città italiane, da Nord a Sud, ha dimostrato che a questa età i bambini hanno competenze (cognitive, motorie, sociali) che sono già diverse, in rapporto non solo al background dei genitori, ma alla frequenza al nido negli anni precedenti e, ancora, alle attività svolte in famiglia, quali la lettura condivisa. Coniugare il supporto economico alle famiglie con bambini che ne hanno bisogno alla maggior fruizione di servizi e proposte educative di qualità è una scommessa da vincere per qualsiasi governo che abbia a cuore equità e sviluppo. 


Per approfondire:

Infanzia: in Italia asilo nido pubblico solo
per 1 bambino su 10