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STUDIO DI FATTIBILITÀ PER UNA ‘CHILD GUARANTEE’ (sistema di garanzia per l’infanzia)

Rapporto intermedio (gennaio 2020)
coordinato da H. Frazer, A.-C. Guio and E. Marlier, Bruxelles, Commissione europea.

Nel 2015, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione e gli Stati membri dell’Unione europea “a introdurre una Child Guarantee (sistema di garanzia per l’infanzia) in modo che ogni bambino in condizioni di povertà possa avere accesso all’assistenza sanitaria gratuita, all’istruzione gratuita, a un alloggio dignitoso e a un’alimentazione adeguata, come parte di un piano integrato europeo per combattere la povertà infantile ”.
A seguito della successiva richiesta del Parlamento alla Commissione di attuare un’azione preparatoria per esplorare il potenziale campo di applicazione di una Child Guarantee per bambini vulnerabili, la Commissione ha commissionato uno studio per analizzare la fattibilità di tale regime.
Lo studio di fattibilità per una Child Guarantee (FSCG) è condotto da un consorzio composto da Applica e dall’Istituto lussemburghese di ricerca socioeconomica (LISER), in stretta collaborazione con Eurochild e Save the Children e con il supporto di nove esperti tematici , 28 esperti nazionali e un editor indipendente.
Per ulteriori informazioni sullo studio di fattibilità, si rimanda a:
https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1428&langId=en

foto articolo Secondo Welfare

La popolazione continua a diminuire: quale impatto sul welfare italiano?

I nuovi dati Istat confermano l’andamento demografico negativo del nostro Paese: nel 2019 si è registrato il ‘ricambio naturale’ più basso dal 1918.

di Valentino Santoni

I dati Istat pubblicati nell’ultimo Report sugli indicatori demografici confermano una drammatica tendenza per il nostro Paese: sempre meno nascite. Il che significa una popolazione tendenzialmente in calo e un “peso” sempre più consistente delle fasce più anziane della popolazione. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica il 2019 si è caratterizzato per una riduzione della popolazione residente nel nostro Paese e per il più basso livello di “ricambio naturale” (cioè il rapporto tra i nati e i morti al netto del fenomeno migratorio) registrato nel nostro Paese dal 1918. Lo scorso anno le nascite sono state infatti solo 435mila e i decessi 647mila, il che porta a un saldo naturale di -212mila unità; una tendenza solo parzialmente attenuata dai flussi migratori provenienti dall’estero, che hanno portato a un aumento di 143mila unità (risultato di 307mila iscrizioni all’anagrafe a fronte di 164mila cancellazioni).

Nascono sempre meno bambini

Il tasso di fecondità – cioè la media di figli per donna in età feconda – è rimasto costante con quelli espressi nel 2018: 1,29 figli per donna. Da ormai qualche anno le stime evidenziano però come questo tasso sia sempre più elevato al Nord (dove la media è pari a 1,36 figli per ogni donna), rispetto al Mezzogiorno (1,26) e al Centro (1,25). I dati dicono che, in particolare, ai vertici della classifica si trovano la Provincia di Bolzano (con 1,69 figli per donna) e quella di Trento (1,43) a cui seguono Lombardia (1,36), Emilia-Romagna (1,35) e Veneto (1,32). Un dato che negli ultimi 25 anni si è totalmente ribaltato. Nel 1995, anno in cui è registrato il tasso di fecondità più basso nella storia del Paese (1,19), nel Mezzogiorno si registravano tassi molto più alti (1,41) rispetto a Nord (1,05) e Centro (1,07). Un dato che fa intuire come esista una forte correlazione tra intenzioni riproduttive e opportunità – in primis legate a lavoro e servizi – garantite da un maggior sviluppo economico e sociale, influenzato anche dal tema delle migrazioni interne.

Allo stesso tempo, tende ad aumetare l’età media al momento del parto, che ad oggi supera i 32 anni. Un dato che, come spiega anche Alessandro Rosina nel volume “Il futuro non invecchia”, anche in questo caso è riconducibile a diversi fattori quali la mancanza – spesso cronica – di servizi per la prima infanzia e le condizioni di incertezza generate dalle attuali contingenze economica.

Al contempo, continua a crescere la speranza di vita, seppur meno marcatamente rispetto al passato e con notevoli differenze tra maschi e femmine. L’Istat stima che a livello nazionale la speranza di vita alla nascita di un uomo è pari a 81 anni; per le donne arriva invece a 85,3. Per gli uni come per le altre l’incremento sul 2018 è pari a 0,1, corrispondente a un mese di vita in più. Anche in questo caso la variabile geografica sembra giocare un ruolo decisivo. Nel Nord-Est, ad esempio, la speranza di vita alla nascita si attesta a 81,6 anni per gli uomini e 85,9 per le donne; nel Meridione si vive invece mediamente un anno di meno: la stima è 80,2 anni tra gli uomini e 84,5 tra le donne.

Questi dati si inseriscono in un quadro sociodemografico che ormai da alcuni anni appare sempre più chiaro: l’età media continua ad aumentare (45,7 anni) perché le persone con più di 65 anni hanno un “peso” sempre maggiore all’interno della società mentre quelle con meno di 18 sono sempre di meno. Le stime sul 2018 dicono che gli over 65 sono il 22,8% della popolazione, mentre i minorenni sono appena il 16,2%. 

Il tema delle migrazioni interne

Una delle dinamiche su cui riflettere è anche il forte gap venutosi a creare tra Nord e Sud anche per quanto riguarda le dinamiche demografiche. Il calo della popolazione si concentra infatti prevalentemente nel Mezzogiorno (-6,3 per mille) e in misura inferiore nel Centro (-2,2 per mille); nel Settentrione invece le tendenze sono ribaltate e si registra un aumento pari a 1,4 per mille.

Il fenomeno è in parte legato ai diversi tassi di natalità delle Regioni, ma è condizionato soprattutto dal fenomeno della migrazione interna, cioè dall’aumento degli spostamenti dal Centro e dal Sud verso le regioni del Nord. Lo sviluppo demografico più importante si è registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento, con tassi di variazione rispettivamente pari a +5 e +3,6 per mille; rilevante in tal senso è anche l’incremento osservato in Lombardia (+3,4 per mille) ed Emilia-Romagna (+2,8). La Toscana, pur con un tasso di variazione negativo (-0,5 per mille), è la regione del Centro che contiene maggiormente la flessione demografica. Totalmente contrapposte sono le condizioni delle regioni del Sud: le situazioni più critiche sono quelle di Molise e Basilicata che, nel corso dell’ultimo anno, hanno visto la propria popolazione ridursi quasi dell’1%.

Anche in questo caso i temi del lavoro, dei servizi e, in generale, della miglior qualità di vita offerta dalle regioni settentrionali appaiono fortemente correlati al fenomeno.

Quali conseguenze per il nostro sistema di welfare

Come spesso abbiamo sottolineato questo andamento demograficova inevitabilemente a incidere sulla sostenibilità presente – e soprattutto futura – del welfare state.

Per citare brevememente alcuni esempi concreti: nel campo delle pensioni, in assenza di ricambio generazionale, si sta progressivamente modificando il rapporto tra pensionati e popolazione attiva, ovvero quella fascia di persone che contribuiscono maggiormente alla crescita del PIL e che, tramite fiscalità generale e contributi, finanziano il sistema previdenziale che già ora appare sempre meno sostenibile. Nel campo della sanità crescono le persone affette da patologie (spesso croniche) legate all’età anziana: un elemento che inevitabilmente sta portando all’aumento dei costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Accanto ai bisogni sanitari aumentano infine anche le necessità di cura e assistenza di lungo periodo (la cosiddetta Long Term Care, di cui ci occupiamo attraverso il focus InnovaCAre).

E la situazione non è destinata a migliorare. Le stime ci dicono che, in base alle tendenze attuali, la popolazione con più di 65 anni nel 2060 rapresenterà il 30% della società italiana (oggi è il 22,3%), mentre gli over 80 arriveranno al 13% (il doppio rispetto al 6,5% odierno). 

Da dove partire per evitare il peggio? 

Come affrontare questa situazione? Come ha evidenziato pochi mesi fa Maurizio Ferrera, appare più che mai urgente promuovere una vera e propria trasformazione dell’attuale sistema di sostegno alla famiglia, ancora basato su un sistema di bonus e trasferimenti monetari. Ferrera sostiene che per “invertire la rotta” è essenziale promuovere servizi tout court, sia per la genitorialità – in primis asili – sia per l’assistenza agli anziani; inoltre, in prospettiva sarà cruciale anche sostenere maggiormente politiche legate alla conciliazione vita-lavoro, alla flessibilità dei tempi e di secondo welfare, come il welfare aziendale e la previdenza complementare.

In questa direzione, negli ultimi mesi si è tornati a parlare della possibilità di introdurre un Assegno Unico per la famiglia, un intervento che punta a accorpare le risorse che attualmente sono distribuite in forma di bonus e agevolazioni (tra cui le detrazioni fiscali per i figli minori a carico e gli assegni per il nucleo familiare) con l’obiettivo di semplificare il meccanismo e ottimizzare le risorse economiche esistenti.

Anche al fine di incentivare queste iniziative, che necessitano anzitutto di una forte volontà politica, poche settimane fa è nata l’Alleanza per l’Infanzia.Si tratta di un network promosso da diversi soggetti – appartenenti al mondo dell’associazionismo, alla società civile e al mondo della ricerca – che, avendo a cuore il futuro di bambini e adolescenti, condividiono la responsabilità e l’urgenza sia di sensibilizzare e fare pressione perché siano attuate riforme e iniziative necessarie a invertire il trend demografico, ma anche sollecitare e sostenere le imprese e le comunità locali perché costruiscano ambienti più favorevoli ai bambini/e, ai ragazzi/e e ai loro genitori.

Articolo pubblicato lunedì 17 febbraio 2020 su Secondo Welfare

La popolazione continua a diminuire: quale impatto sul welfare italiano?

foto articolo Avvenire.it

Genitorialità. Necessario lavorare con le famiglie

L’importanza del sostegno alle competenze e pratiche genitoriali

Caro direttore,
le difficoltà delle famiglie si trasferiscono inevitabilmente sui bambini. All’età di 4 anni, come una vasta letteratura scientifica dimostra e come evidenziato anche dalla recente indagine svolta in Italia da Save the Children, i bambini sono già diversi, o meglio diseguali, nelle loro competenze, sia quelle cognitive che quelle socio-relazionali, e nel rischio di sviluppare ritardi e disordini di sviluppo.

Alla radice di queste diseguaglianze certamente vi sono, nei casi più gravi, anche alterazioni neurobiologiche, ma soprattutto carenze significative in quello che è stato definito come ‘ambiente di apprendimento familiare’, quindi nelle relazioni, negli atti, negli oggetti, negli spazi che costituiscono la principale fonte di apprendimento per il bambino nei suoi primissimi anni di vita. Se questo ambiente è inadeguato, povero di attenzioni, risposte, opportunità, parole, gioco, storie, lo sviluppo del bambino ne risente, su più dimensioni, con conseguenze sul suo successivo percorso scolastico, benessere mentale ed esiti sociali.

Se questo è vero – come dimostrano oltre due decadi di ricerche in campi diversi, dalle neuroscienze alla psicologia dello sviluppo, e di studi che hanno indagato gli itinerari di vita dalla nascita all’età adulta – occorre che l’azione legislativa e quella amministrativa non si limitino ai pur necessari interventi di sostegno al reddito, di messa a disposizione di servizi educativi e di ampliamento dei congedi parentali – che restano le architravi delle politiche per le famiglie – ma comprendano servizi che, lavorando direttamente con le famiglie – con le madri, con i padri e con gli altri caregiver – ne sostengano le conoscenze (pochi genitori ad esempio vengono informati dei bisogni evolutivi del bambino e di come rispondervi) e soprattutto le pratiche, il fare quotidiano, per renderlo più nutriente per le menti in formazione.

Tenendo conto che la stessa efficacia del nido sullo sviluppo è mediata in misura significativa da quello che accade nelle famiglie, e quindi dalle attività facilitanti lo sviluppo che vi vengono condotte: in altre parole, un nido di qualità produce molti più benefici se accompagnato da un tempo familiare di qualità, caratterizzato cioè da relazioni e interazioni ricche. La stessa indagine condotta da Save the Children dimostra che le attività, quali ad esempio la lettura, che vengono svolte nell’ambito della famiglia, hanno un peso sulle diseguaglianze che si sviluppano nei primi anni. Non mancano esempi all’estero e in Italia di interventi che questo fanno e che si sono dimostrati in grado di produrre risultati.

Questi servizi vanno portati a sistema, vanno concepiti e offerti come opportunità per tutti e non solo per situazioni di particolare vulnerabilità. Infatti, accanto alle problematiche che continuano a colpire non poche famiglie con bambini – quali povertà materiale ed educativa, violenza domestica, esclusione sociale, dipendenze – ne stanno comparendo altre, come testimoniano tutti gli operatori impegnati nei servizi sanitari ed educativi per l’infanzia: disorientamento nelle scelte educative, isolamento sociale, incertezza sul futuro, sfiducia nelle istituzioni e nei servizi.

Diversamente dalle prime, che colpiscono una parte certo non trascurabile ma minoritaria di famiglie con bambini, le seconde riguardano le nuove madri e i nuovi padri in misura maggioritaria e trasversale alle classi sociali. Si tratta dunque di concepire, anche per evitare servizi che si connotino come servizi per persone in difficoltà, interventi semplici e di natura universale, sia pure poi modulabile in base ai bisogni. È una prospettiva che ormai è necessario assumere. Sia il settore pubblico sia quello privato, a livello nazionale come delle singole comunità, devono impegnarsi e allearsi per essere all’altezza di questo compito: sui primi anni, come ha scritto Lya Luft, «si cammina tutta la vita».


Articolo pubblicato venerdì 14 febbraio 2020 su AVVENIRE.IT

Genitorialità. Necessario lavorare con le famiglie

MAMME E PAPÀ. Gli esami non finiscono mai

Un libro di Chiara Saraceno

cop Mamme e papà

MAMME E PAPÀ.
Gli esami non finiscono mai

Chiara Saraceno

2016

il Mulino

Che cosa definisce l’essere “buoni genitori” in un mondo diventato sempre più incerto nelle sue regole e confini? Ed è proprio vero che solo il rapporto di coppia fondato su una chiara distinzione di genere garantisce il benessere dei figli? Intorno a questi temi si assiste a un accavallarsi spesso cacofonico a vagamente colpevolizzante di nostalgie del buon tempo antico, evocazioni di un ritorno alla natura e furori tecnologici. Il libro guarda al mestiere di genitore e alle sue sfide attuali partendo dall’esperienza concreta di madri e padri, smontando stereotipi e ricette troppo facili e riflettendo sui dilemmi posti dalle nuove tecnologie riproduttive.

INDICE

Introduzione
I. Madri e padri oltre i luoghi comuni

Ovvietà apparenti
Come la società creò la mamma
In bilico fra tradizione e innovazione
II. Tra natura e tecnica
Gravidanza e parto in mano agli esperti
Ritorno alla natura?
III. Come si fa la mamma giusta
Davvero le mamme di oggi sono meno brave di quelle del passato?
Immagini della madre
Le madri dei media, ma la vita è un’altra cosa
Le mamme ce la fanno o sono onnipotenti?
I blog delle mamme: ritratti autoironici, ma non troppo
IV. Padri perennemente in bilico
Autorevolezza senza intimità
Nostalgia per un’autorità perduta
Indispensabilità materna, dispensabilità paterna per i bambini?
Il padre occidentale: un nuovo modello di paternità?
Alle origini del cambiamento
Che cosa si perdono i padri
V. Ad ogni costo?
Alla ricerca del figlio mancante
Madri e padri: il corpo fa differenza
Chi è genitore?
Corpo senza maternità e viceversa
Conclusioni