Premessa
L’obiettivo sia dell’art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 che della proposta di legge Delrio ed altri (C. 687), di rafforzare e di razionalizzare il frammentato sistema di interventi legati alla presenza di figli per migliorarne l’efficacia e l’equità, anche al fine di un sostegno alle scelte di fecondità, è totalmente condivisibile.
In particolare, per quanto riguarda la proposta di legge C. 687, è condivisibile il principio di fondo di articolare gli interventi tramite due strumenti: l’assegno unico (quale misura di sostegno economico per i figli a carico) e la dote unica per i servizi (quale misura volta a favorire la fruizione di servizi a sostegno della genitorialità).
Con il primo si aiutano le famiglie, tutte, non solo quelle appartenenti a determinate categorie, a fronteggiare il costo dei figli, riducendo il rischio che la scelta di avere un figlio (in più) produca forti squilibri nel bilancio famigliare o addirittura causi la caduta in povertà. È opportuno ricordare a questo proposito che l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con più forte incidenza della povertà minorile e dove sono particolarmente a rischio di povertà le famiglie con più figli.
Con il secondo, il voucher servizi, si aiutano i genitori nei propri compiti di cura ed educativi, sia favorendo la conciliazione tra lavoro e famiglia, sia offrendo possibilità di confronto e consulenza, sia allargando i contesti e le relazioni educative per i bambini.
Ugualmente apprezzabile è lo sforzo fatto nel Disegno di legge di bilancio 2020 (versione del 31-10-2019), che riprende una serie di obiettivi della proposta di Legge suddetta e li integra.
In particolare, per quanto riguarda le risorse economiche dedicate alle politiche di sostegno della famiglia, il comma 1 dell’Art. 42 prevede di istituire un fondo denominato «Fondo assegno universale e servizi alla famiglia», con una dotazione pari a 1.044 milioni di euro per l’anno 2021 e a 1.244 milioni di euro annui a decorrere dal 2022.
In merito al congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, il comma 4 dell’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 prevede sia la proroga anche al 2020 dell’articolo 1, comma 354, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, sia un aumento a sette giorni sempre per l’anno 2020 di tale congedo, oltre alla possibilità anche per il 2020 che il padre lavoratore dipendente fruisca di un periodo ulteriore di un giorno, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. Complessivamente, il dispositivo cerca di rafforzare lo strumento del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente.
Per quanto riguarda le misure di sostegno economico per i figli a carico (il primo dei due strumenti indicati nella proposta di legge C. 687), l’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 si ricollega a quanto introdotto con l’articolo 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che prevede un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione fino al compimento del terzo anno di età e condizionato alla situazione economica familiare. In particolare il comma 2 dell’Art. 42 prevede un sensibile innalzamento dell’importo di tale assegno fino al compimento del primo anno di età, sempre modulandolo rispetto alla condizione economica familiare, con una cifra massima pari a 1.920 euro. La copertura finanziaria di tale onere aggiuntivo dell’assegno nel primo anno di vita del bambino (pari a 348 milioni di euro per l’anno 2020 e a 410 milioni di euro per l’anno 2021) è assicurata da parte delle risorse previste nel «Fondo assegno unico universale e servizi alla famiglia» di cui sopra (comma 3 dell’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 prevede).
Infine, per quanto riguarda le misure volte a favorire la fruizione di servizi a sostegno della genitorialità, il comma 5 dell’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 prevede integrazioni all’articolo 1, comma 355, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. L’articolo della legge del 2016 prevedeva forme di sostegno economico (un buono di 1.000 euro su base annua) per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, stabilendo inoltre un limite massimo complessivo di spesa, pari a 300 milioni di euro per l’anno 2019. La nuova normativa proposta nel comma 5 dell’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020, prevede a decorrere dall’anno 2020, che tale buono venga incrementato fino a 1.500 euro a seconda della situazione economica del nucleo familiare. Inoltre, il limite massimo complessivo di spesa passa dai 300 milioni di euro previsti per l’anno 2019 ai 520 milioni di euro per l’anno 2020 e 530 milioni di euro per l’anno 2021, per poi proseguire con incrementi annui fino alla cifra di 621 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2029. Anche in questo caso, la copertura finanziaria di tali oneri aggiuntivi è assicurata tramite le risorse previste nel «Fondo assegno unico universale e servizi alla famiglia» di cui sopra (comma 3 dell’Art. 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 prevede).
Criticità ed aspetti da migliorare
L’Alleanza apprezza lo sforzo del Governo e del Parlamento e condivide i punti di fondo dei due provvedimenti. Allo stesso tempo ritiene che vi siano alcune criticità che meritano attenzione pe migliorare l’efficacia dei provvedimenti stessi nel sostenere le famiglie con figli.
Le osservazioni che seguono vanno quindi collocate all’interno di questa condivisione di principio e riguardano i seguenti aspetti.
Sostegno economico e servizi
- alcuni aspetti del funzionamento dell’assegno universale;
- il tipo di servizi per cui può essere utilizzata la dote;
- la necessità di integrare gli strumenti dell’assegno unico e della dote con un sostanzioso investimento in servizi socio-educativi;
- le età dei figli considerate ai fini della erogazione rispettivamente dell’assegno e della dote;
Congedi
- la mancata messa a fuoco della situazione delle lavoratrici autonome o con contratti a tempo determinato;
- la durata del congedo obbligatorio per i padri;
- l’ampliamento del congedo parentale per i genitori.
In dettaglio, le osservazioni dell’Alleanza sono le seguenti.
Il funzionamento dell’assegno universale
L’Alleanza non entra nel dibattito se sia più opportuno avere misure uguali
per tutti, a prescindere dal reddito o se, all’interno di una logica
universalistica e non categoriale, sia più opportuno graduare il valore della
misura (sia nel caso dell’assegno sia in quello della dote) in base al reddito
della famiglia. Ci sono buone ragioni per sostenere sia l’una sia l’altra
posizione, anche dal punto di vista dell’universalismo e dell’equità.
Accettando la scelta dei proponenti delle due proposte di legge di graduare le
misure in base al reddito famigliare, in modo da renderle più corpose per i
redditi più bassi accentuandone l’efficacia redistributiva, le osservazioni
riguardano i seguenti aspetti.
Mentre la proposta di legge Delrio ed altri prefigura un modello
effettivamente universale, rivolto a tutti i figli minorenni, l’articolo 42 del
disegno della Legge di Bilancio adotta in modo parziale tale impostazione,
limitando l’assegno solo per i nuovi nati nel 2020 e differenziandone l’importo
in tre fasce. Non è chiaro come il legislatore intenda far evolvere l’assegno
unico portandolo a regime (evitando diventi l’ennesima azione estemporanea), facendolo
diventare davvero universale (rivolto a tutti i bambini), dandogli continuità
nel tempo (fino al raggiungimento della maggiore età) ed equo rispetto alla
situazione delle famiglie. Coerentemente con ciò sarebbe, in primo luogo,
importante dare rassicurazione alle famiglie che tali importanti risorse
saranno il frutto del riordino delle misure parziali esistenti a sostegno delle
famiglie, ma non proverranno da tagli al sostegno dei redditi (es. cuneo
fiscale) e che si tratta di una misura strutturale e stabile, che prevede
innanzitutto che i nuovi nati del 2020 potranno contare su un trasferimento
quantomeno fino ai 18 anni. Inoltre, andrebbero meglio specificati tempi e modi
di estensione anche a tutti gli altri minori già nati prima del 2020, quindi
della più ampia riforma dei trasferimenti legati alla presenza di figli.
Infine, se si ritiene necessario utilizzare un criterio di reddito per
graduare il beneficio, occorre fare attenzione a che questo non si presti
a nuove iniquità.
Servizi per cui può essere utilizzata la dote
L’articolo 42 del Disegno di legge di bilancio 2020 individua forme di
supporto economico pagamento di rette relative alla sola frequenza di asili
nido pubblici e privati. Questa impostazione ci sembra più corretta di quella
che si trova nell’art. 3, comma 1, lettera a della proposta di legge Delrio ed
altri, ove si dice: “a) istituzione di una dote unica per un ammontare
fino a un massimo di 400 euro per dodici mensilità, per ogni figlio fino ai tre
anni di età, utilizzabile per il pagamento di servizi per l’infanzia quali
asili nido, micronidi, baby parking e personale direttamente
incaricato”.
A nostro parere, infatti, questa formulazione presenta alcune criticità.
In primo luogo, ed è la questione più importante, il ventaglio di “servizi”
per cui può essere spesa la dote è troppo ampio e generico. Se l’obiettivo
della dote è il sostegno alla genitorialità e l’ampliamento delle possibilità
educative dei bambini, sembra ragionevole indirizzare meglio l’utilizzo di
questo strumento. Baby parking e baby-sitter, pur con eccezioni, difficilmente
garantiscono sia possibilità di confronto e consulenza ai genitori sui propri
compiti e problemi, sia opportunità socio-educative ai bambini. E’ una
questione cruciale alla luce dell’importanza che ormai tutti gli esperti – dai
pediatri agli psicologi dell’età evolutiva – riconoscono ai primi tre anni di
vita per lo sviluppo futuro dei bambini, sottolineando il ruolo cruciale che in
questa prospettiva hanno sia il rapporto con i genitori, sia la frequenza di
servizi per l’infanzia di qualità. In questi decenni l’Italia ha raggiunto un
livello buono, se non ottimo, di qualità nei propri servizi per l’infanzia
grazie al “welfare mix”, costruito attorno alla professionalità, all’attivismo
e al rapporto virtuoso fra amministrazioni locali ed organizzazioni di terzo
settore e fondato su criteri condivisi di definizione della qualità dei servizi
stessi.
È fondamentale che lo strumento della dote si innesti in questo solco e
sostenga l’ampliamento di questo modello di servizi per l’infanzia. Occorre
evitare il rischio che la dote, invece che sostenere il modello di servizi di
qualità che si è diffuso in Italia in questi decenni, incentivi le famiglie a
scelte in cui la necessità custodialistica dei propri figli prevalga su quella
della crescita socio-educativa di qualità del bambino, con un ricorso più
massiccio che in passato a strumenti quali il baby parking e il baby-sitting.
Sarebbe paradossale se uno strumento pensato per sostenere la genitorialità tramite
servizi finisca per spostare il baricentro da un sistema di servizi
socio-educativi di qualità, quale quello attuale, ad un sistema in cui gli
interventi custodialistici, magari offerti da singole persone o da
organizzazioni senza personale professionale, prendano il sopravvento.
In questa ottica appare necessario che la dote venga spesa solo all’interno
dell’alveo dei servizi socio-educativi per l’infanzia, pubblici e privati, che
fin qui sono stati certificati per la loro qualità, accreditati a livello
locale ma sulla base di criteri condivisi a livello nazionale (cfr. art. 2 del
decreto 65 sul sistema integrato di istruzione e educazione 0-6 anni).
In secondo luogo, e questa osservazione vale anche per l’art. 42 della Legge
di bilancio, andrebbe esplicitato maggiormente che l’accesso alla dote è
indipendente dallo status occupazionale dei genitori, in particolare della
madre. La dote è, infatti, importante anche per le famiglie in cui uno dei due
genitori o entrambi non lavorano, sia perché consente di ampliare le risorse
educative per i bambini, sia perché è uno strumento utile per mettere le
famiglie nella condizione di cercare una occupazione e conciliare lavoro e cura
una volta trovato. In altri termini, oltre che per fini di sviluppo socio-educativo
del bambino, la dote deve avere l’obiettivo di aiutare i genitori a conciliare,
intervenendo non solo in favore di quelli che già lavorano ma anche di quelli
che vorrebbero lavorare ma hanno difficoltà a farlo, anche per motivi legati ai
compiti di cura dell’infanzia.
È utile ricordare, a questo proposito, che la Convenzione sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui il prossimo 20 novembre ricorrerà il
trentennale dall’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite, prevede – tra le altre cose – che “gli Stati parte si impegnino ad
adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e altri, necessari
per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione” (Articolo
4). L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge n.176 del 1991 impegnandosi
nel rispetto dei diritti previsti e nella verifica periodica degli stessi. Le
ultime Osservazioni Conclusive, rivolte nel febbraio del 2019 dal Comitato ONU
sui diritti dell’infanzia al nostro Paese, mettono in particolare rilievo
l’importanza dell’allocazione delle risorse per politiche e programmi a
sostegno dell’infanzia e dell’adolescenza e per ridurre la povertà minorile
(par.8 e par.30).
Infine, la scelta di puntare su servizi di qualità pone problemi in un paese
quale l’Italia in cui non in tutti i territori sono presenti sufficienti
strutture. La dotazione del bonus asili nido (540 milioni) rischia di coprire
una platea pari a quella che già usufruisce del servizio (tra pubblico e
privato) e di fatto non amplia l’offerta di posti. Dato questo ordine di
problemi, occorre innanzitutto prevedere come possano fare parte di questa rete
anche i micronidi, i nidi aziendali, o le tagesmutter e figure simili presenti
in alcune zone ove è difficile organizzare un nido, purché siano, appunto,
certificate e supervisionate per la loro qualità educativa, e non operino come
puri servizi custodialistici. Allo stesso tempo, è necessaria una azione molto
più strutturale e di ampio respiro per iniziare ad ovviare a tale problema. A
tal fine, l’Alleanza suggerisce anche una politica di sostegno pubblico
all’espansione dell’offerta dei servizi (si veda il punto sotto). Si suggerisce
altresì di vigilare affinché si superino gli ostacoli burocratici
all’utilizzazione dei fondi già assegnati per la creazione di Poli per
l’infanzia 0-6, e si dia seguito all’ implementazione della strategia educativa
sottesa alla creazione del sistema educativo integrato 0 – 6 anni, secondo
quanto previsto nella Legge de La Buona scuola.
Necessità di integrare l’assegno unico e la dote servizi con l’investimento
in servizi
Alla luce delle osservazioni sopra formulate, proprio se si vuole investire
in servizi di qualità tramite la dote, occorre anche prevedere all’interno
della proposta di legge Delrio ed altri un investimento finanziario pubblico
consistente per sostenere l’espansione dell’offerta di questi servizi.
L’obiettivo di sostenere la genitorialità e le opportunità educative dei
bambini, infatti, non può essere affrontato solo dal lato della domanda (tramite
la dote data alle famiglie e l’assegno universale). Richiede anche un sostegno
pubblico più robusto dal lato dell’espansione dell’offerta. I dati più recenti
provenienti da varie fonti (da Istat a Save the Children) segnalano che in
Italia solo poco più di un bambino su dieci ha posto in un nido pubblico o
convenzionato, con picchi negativi in alcune regioni, per lo più nel
Mezzogiorno, dove solo il 2-3% dei bambini dagli zero ai tre anni ha accesso a
un nido pubblico. La situazione è solo in parte compensata da strutture private
(incluse quelle aziendali), stante che, secondo i dati di Openpolis, il livello
di copertura complessivo in Italia è del 20%, che sale al 24% se si considerano
anche le sezioni primavera nelle scuole per l’infanzia. La stragrande
maggioranza dei bambini (e dei loro genitori) quindi, è esclusa da questo
servizio, con effetti negativi non solo sulla opportunità dei genitori di
rimanere nel mercato del lavoro, ma sulle pari opportunità di crescita
socio-educativa tra bambini. A ciò si aggiungano le enormi disparità regionali.
Le regioni del Nord offrono un posto al nido ad un bambino ogni quattro, molte
regioni del Sud non riescono ad offrirlo neppure ad un bambino ogni dieci.
Occorre, quindi, indicare nella proposta di legge di Delrio ed altri, e se
possibile esplicitare meglio questo aspetto anche nel Disegno di legge di
bilancio 2020, la volontà di un sostegno economico all’ampliamento dell’offerta
di servizi di qualità per la prima infanzia, prevedendo interventi finanziari
per l’ampliamento sia dell’offerta diretta di servizi pubblici che di quelli
offerti dal terzo settore, in collaborazione con le amministrazioni locali.
Si propone di includere nei servizi sopra indicati sui quali investire anche
quelli relativi alla ristorazione e al trasporto scolastici, sia per la scuola
dell’infanzia che per la scuola primaria. Infatti i bambini esclusi da questo
servizio sono ancora oggi molti (49% nella primaria) e dislocati soprattutto
nelle regioni del Sud.
Per quali età?
La questione si pone, ovviamente, diversamente nel caso dell’assegno unico e
della dote servizi.
Per quanto riguarda l’assegno unico, si può valutare se limitarlo solo ai
figli minorenni, eventualmente rendendolo più corposo, o ai maggiorenni fino a
24 anni, purché siano ancora in formazione. Nel caso dei figli disabili,
occorrerebbe specificare “senza limiti di età”.
Si può anche osservare che la lettera d) comma 1 art. 2 della proposta
Delrio et al.- “mantenimento degli importi in vigore per coniuge e altri famigliari
a carico” – non è chiaro a quali importi si riferisca, al di fuori delle
detrazioni fiscali, coscienti del fatto che queste ultime presentano il
consueto svantaggio per gli incapienti, che non possono fruire di alcuna
detrazione.
Per quanto riguarda la dote servizi, la sua estensione sino al compimento
del quattordicesimo anno di età rischia di suggerire implicitamente l’idea che
si tratti di una misura “custodialistica”, visto che dai tre anni in su i
bambini sono a scuola. Se l’obiettivo è sostenere la conciliazione
lavoro-famiglia anche dopo l’entrata dei figli nel sistema scolastico, meglio
allora forse rafforzare il tempo pieno nelle scuole, che avrebbe il duplice
effetto aggiuntivo di rafforzare le opportunità educative per i bambini e di creare
posti di lavoro di qualità nel sistema dell’istruzione. In alternativa, si
potrebbe vincolarne l’uso alla partecipazione ad attività sportive, o di
apprendimento della musica, o teatro, cioè ad attività extracurriculari la cui
importanza per lo sviluppo dei bambini è stata individuata come molto
importante e da cui spesso sono esclusi i bambini dei ceti economicamente più
modesti. Ma, anche qui, potrebbe esserci un problema di offerta (e di
accreditamento). Altrimenti, meglio concentrare le risorse sui bambini sotto i
tre anni.
Mancata messa a fuoco della situazione delle lavoratrici autonome o con
contratti a tempo determinato
Teoricamente tutte le lavoratrici hanno diritto, in caso di maternità a
un’indennità economica in sostituzione della retribuzione. Essa è regolata
principalmente con il “Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità
e della paternità” emanato dal d.lgs. n.151/2001, successivamente modificato
per includere le nuove tipologie di lavoratrici.
In linea generale, se il rapporto di lavoro è alle dipendenze si ha diritto
all’indennità se si è occupate (o coperte da ammortizzatori sociali per la
disoccupazione) all’inizio del congedo. Se invece si è lavoratrici autonome, il
diritto all’indennità è subordinato a un pregresso contributivo, che può essere
definito in giornate (lavoro agricolo e lavoro dello spettacolo) o in ammontare
di contributi versati.
Sono rimaste differenze significative, sia nella capacità di supplire appieno
alla mancanza di reddito connessa alla gravidanza, sia nel sistema di
informazioni e nella prontezza degli interventi.
Per chi non è una lavoratrice dipendente, ottenere l’indennità non è mai
qualcosa di automatico. È mancata un’integrazione organica delle aggiunte
successive, con diverse conseguenze che si stanno facendo sentire sempre di più
in un mercato del lavoro fluido e frammentato, in cui spesso è necessario
svolgere più lavori (più lavori autonomi o anche lavori che sono sia dipendenti
sia autonomi).
Le gestioni restano infatti rigidamente distinte: quanto versato in una
gestione non serve nel momento in cui si passa a un’altra gestione, né può
essere cumulato se si è in parallelo su due gestioni. Chi ha un lavoro
instabile è esclusa dalla indennità, o ne ha una irrisoria. I problemi non
riguardano, infatti, solo le non dipendenti, ma anche le lavoratrici dipendenti
con contratti a termine, che sono tutelate solo se hanno un contratto attivo
all’inizio del congedo. Per aver diritto all’indennità è necessaria una vera e
propria programmazione della gravidanza, per cogliere l’opportunità di un
periodo tutelato.
Va considerato che solo circa il 30% delle donne sotto i 30 anni e circa il
45% di quelle sotto i 40 anni hanno un rapporto di lavoro dipendente stabile.
Quindi la maggioranza delle donne in età feconda gode di scarsa o nulla tutela
se decide di avere un figlio.
Occorre quindi metter mano ad una revisione del sistema di tutela della
maternità che preveda, accanto alla la predisposizione di un’informazione
efficiente e pervasiva e alla semplificazione delle procedure: 1) l’ampliamento
della copertura dell’indennità di maternità, con l’istituzione di una indennità
di maternità minima (5 mesi con una indennità pari a 1,5 volte assegno sociale)
per tutte le mamme o almeno per tutte le mamme lavoratrici; 2) la cumulabilità
dei versamenti e quindi delle indennità maturate su più casse previdenziali; 3)
l’estensione a tutte le tipologie di lavoratori/lavoratrici del congedo di
10/11 mesi, da suddividere tra i due genitori.
Durata del congedo obbligatorio di paternità
Aver previsto in legge un allungamento del periodo di congedo di paternità
fino a 7 giorni è un importante passo avanti. Sarebbe fondamentale, però,
prevedere in prospettiva, da un lato, la sua estensione anche ai padri
lavoratori autonomi, dall’altro, un allungamento della misura a 10 giorni, come
indicato nella Direttiva europea sulla conciliazione vita-lavoro. Il tema della
conciliazione non è risolvibile solo dal lato dei trasferimenti e dell’offerta
dei servizi. Richiede una migliore redistribuzione dei compiti di cura
all’interno della coppia. Un congedo più lungo per i padri rappresenta un
sostegno in tal senso.
Ampliamento del congedo parentale per i genitori
Andrebbe in prospettiva potenziato, ampliato e meglio retribuito il congedo parentale,
che rappresenta uno strumento di conciliazione particolarmente importante per
sostenere i genitori nel dedicare tempo di cura ai propri figli (neonati ma
anche adolescenti), tutelare i livelli occupazionali femminili in occasione di
una maternità e promuovere culturalmente e realmente le pari opportunità.
Allo stesso tempo, sarebbe importante tornare a prevedere un sistema di incentivi per la contrattazione collettiva, che innovi nel campo di permessi e congedi a motivo della genitorialità, in copertura retributiva o durata, anche sulla base delle esperienze maturate in questi anni.
Parere pubblicato su welforum.it il 18 novembre 2019:
L’Alleanza per l’Infanzia sulle proposte di legge a sostegno delle famiglie
Bibliografia
Segnaliamo anche i seguenti articoli usciti su welforum.it sullo stessa tema:
Stefano Lepri, Assegno unico e universale per i figli a carico. Idee guida e simulazioni del disegno di legge in discussione al Senato, 19 ottobre 2017.
Chiara Saraceno, In merito alle misure proposte a sostegno dei figli a carico. Parere sulla proposta di legge Del Rio, Lepri ed altri, 10 ottobre 2019.