Lo scandalo della disattenzione sulla scuola sembra non avere limite. Oggi la ministra ha fatto avere la sua proposta di linee guida a Regioni e sindacati da cui emergono solo due cose chiaramente, entrambe preoccupanti.
La prima è che, in nome dell’autonomia scolastica, che viene comoda quando dal centro non ci si vuole assumere responsabilità, viene delegato totalmente alle singole scuole come “garantire il ritorno alla didattica in presenza”: turni, divisione delle classi in più gruppi, riaggregazione di gruppi di alunni di classi diverse e anche di anni diversi, didattica mista, un po’ in presenza e un po’ a distanza, aggregazione di diverse discipline in ambiti più grandi, possibilità di usare anche i sabati per i turni. Tutto dipenderà dalle scelte, e dalle possibilità, delle single scuole, senza che siano indicati né condizioni minime, né risorse aggiuntive disponibili, con buona pace dei diritti educativi dei bambini e ragazzi e del diritto dei genitori, specie dei più piccoli, di sapere con ragionevole anticipo come sarà organizzata la giornata e la settimana dei loro figli. La seconda cosa che emerge da queste “linee guida” è che la Ministra apparentemente non si rende conto che sia i turni, sia la didattica mista, richiedono di aumentare i docenti, perché non si può chiedere agli insegnanti semplicemente di sdoppiarsi, per fare a un gruppo la didattica in presenza e all’altro quella a distanza, o il turno mattutino e poi quello pomeridiano. Al contrario, nelle linee guida è scritto chiaramente che il miliardo a disposizione per il personale dovrà essere dedicato preferibilmente all’assunzione di bidelli e assistenti. Che la Ministra intenda il problema della scuola in epoca Covid 19 come una questione prevalentemente di spazi e sorveglianza emerge anche dalla sua interpretazione delle proposte di attivazione delle risorse educative delle comunità locali, avanzate sia dall’associazionismo civile sia dallo stesso Comitato consultivo da lei insediato ma, evidentemente, non ascoltato. Nelle linee guida si interpreta l’idea di “patto educativo di comunità” come possibilità sia di usare spazi messi a disposizione della comunità locale sia di utilizzare chi già faceva attività integrative nelle scuole in «attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni». Assente del tutto è l’idea di una organizzazione complessiva della didattica che si apra alla comunità locale, a competenze e attività esterne organizzate in modo non estemporaneo – l’unico modo che potrebbe consentire una effettiva attività educativa in presenza, arricchendola. Infine, nelle linee guida non si fa menzione dei nidi e servizi educativi per la primissima infanzia, un settore che la Ministra ha ignorato sistematicamente fin dall’inizio, delegandolo di fatto alla Ministra della famiglia, dimenticando che dal 2017 i servizi per la primissima infanzia fanno parte a pieno titolo dei servizi educativi, quindi sono responsabilità del suo ministero.
Questa sciatteria e mancanza di rispetto per i nostri figli, per le giovani generazioni, sono davvero intollerabili.
Dopo il crollo continuo delle nascite nello scorso decennio, quello appena iniziato si è aperto con un’emergenza sanitaria che rischia di deprimere ulteriormente le scelte riproduttive. A partire dai contenuti del “Piano Colao” e dal “Family Act”, Alessandro Rosina sviluppa alcune considerazioni sull’approccio necessario per politiche familiari efficaci.
La demografia italiana, come ben noto, è in grave sofferenza da molto
prima dell’emergenza sanitaria. In particolare, le nascite nell’ultimo
decennio hanno subito una diminuzione tra le più accentuate in Europa e
con entità maggiore rispetto alle stesse previsioni Istat. Diventa
quindi cruciale non solo ridurre l’impatto negativo dovuto alle
conseguenze del contenimento della diffusione del virus, ma agire con
rinnovata determinazione sui fattori che da troppo tempo vincolano al
ribasso le scelte riproduttive degli italiani.
Un solido piano di ridefinizione e rilancio delle politiche familiari
va costruito su tre cardini. Il primo è quello di riconoscere gli
squilibri demografici come una delle principali fragilità italiane. Il
secondo è favorire un cambiamento culturale che porti a considerare
l’avere figli non solo come un costo individuale a carico delle famiglie
ma un valore colllettivo che rende più solido il futuro comune. A
questo si associa un’impostazione che porti a considerare le politiche
familiari come parte integrante delle politiche di sviluppo (per le
ricadute sull’intreccio tra natalità, occupazione femminile, sviluppo
umano di qualità a partire dall’infanzia). Il terzo è l’impegno a
mettere in campo un sistema di misure integrate con obiiettivi chiari,
impegno a realizzarle e valutazione dell’impatto.
Il “Piano Colao”
Il maggior sforzo finora compiuto sulla definizione del quadro
d’insieme rispetto alla sfida posta dall’emergenza sanitaria e sulle
azioni necessarie per il rilancio del Paese, è rappresentato dal
cosidetto “Piano Colao”. Il rapporto finale pubblicato dal Comitato di
esperti nominati dal Governo e guidati da Vittorio Colao si compone di 102 proposte organizzate in 6 sezioni.
Si tratta di un lavoro di grande rilievo, svolto da riconosciuti
esperti e contenente misure largamente condivisibili. Di fatto è una
attenta selezione di proposte già da tempo presenti e discusse,
opportunamente arricchita in funzione del momento particolare del paese e
della sua esigenza di ripartire mettendosi sui giusti binari.
Risulta però un documento concettualmente debole sul versante
demografico. Il termine “demografia” appare una sola volta in 52 pagine.
Del tutto assenti sono termini chiave che rimandano a sfide cruciali
per il nostro paese (come “invecchiamento”, “immigrazione”, “natalità”).
Ma, soprattutto, i tre cardini sopra indicati sono in buona parte
disattesi. Rispetto al terzo cardine, alcue misure importanti sul tema
della natalità, da tempo indicate dai demografi, sono presenti, ma
riportate come elenco di interventi indipendenti, senza una
esplicitazione della loro azione integrata sul processo di formazione
delle famiglie e sulle scelte riproduttive. Non c’è alcuna indicazione
di quali siano le misure più urgenti e su come possano concorrere in
modo interdipendente su obiettivi predefiniti su cui misurare poi
l’impatto. Questo limite deriva in parte anche dalla debolezza del
secondo cardine. Le politiche familiari nel documento Colao sono ridotte
al ruolo (pur importante, ma limitato) di insieme di interventi per
ridurre gli squilibri di genere. Sono concentrate nel punto 97,
all’interno della sottosezione XXIII (“Promuovere la parità di genere”)
della sezione “Individui e famiglie”.
Tutto questo è coerente con il non aver posto gli squilibri
demografici tra le principali fragilità del Paese (pg. 4) e il non
considerare il loro superamento (o almento contenimento) come uno degli
obiettivi strategici del rilancio dell’Italia (p. 45), disattendendo
così il primo cardine. Rimane in ogni caso la raccolta ragionata più
ricca e aggiornata di interventi di cui complessivamente ha bisogno il
Paese.
Il “Family Act”
Qualche giorno dopo la pubblicazione del Piano Colao il Governo ha
fatto un passo importante sul tema delle politiche familiari approvando
il “Family Act”.
Vedremo come verrà poi nel concreto realizzato e l’effettiva entità
delle risorse destinate. Per ora possiamo risconoscere vari elementi
positivi che nel passato sono stati carenti, non solo come misure ma
anche come approccio.
Un primo aspetto è l’essere un pacchetto di azioni che in modo
sistemico è volto a rafforzare tutte e tre le dimensioni delle poltiche
familiari: il sostegno economico, i servizi, il tempo. In secondo luogo
si tratta di misure non estemporanee ma durature, con riduzione anche
della frammentarietà e disomogeneità. In particolare l’assegno unico
universale va a tutti i bambini (in quanto tali, indipendentemente dalle
caratteristiche dei genitori) e si estende dalla nascita all
diciottesimo compleanno. Questo strumento (evoluzione di una proposta lasciata per anni nei cassetti del Senato
), non consente solo un riordino e una semplificazione dell’esistente,
ma migliora anche efficienza ed equità del sostegno economico (riducendo
gli effetti scoordinati e distorsivi dell’eterogeneità delle condizioni
di accesso). Anche altre misure – si pensi al rafforzamento dei servizi
per l’infanzia sul territorio (a partire dal Sud) e all’estensione del
congedo di paternità a 10 giorni, conformandosi alla direttiva europea –
sono durature e impostate in modo da ridurre la disomogeneità
(territoriale e tra categorie di lavoratori).
Un terzo elemento di rilievo è che si rende eplicito che le politiche
familiari non possono essere limitate al contrasto della povertà.
L’assegno universale ha una parte legata al reddito delle famiglie, ma
risulta efficace se viene percepito come concreto, non simbolico, dal
ceto medio (si vedano, a proposito, anche le osservazioni dell’Alleanza per l’infanzia).
Un quarto aspetto è il fatto di promuovere un cambiamento culturale.
L’assegno con il suo carattere di universalità è coerente con l’idea che
la scelta di avere un figlio non possa essere considerata solo un costo
privato a carico dei genitori ma vada ad arricchire un bene collettivo –
ovvero le nuove generazioni – che consente a tutta la società di
mettere basi più solide al proprio futuro. Inoltre l’incentivo
all’utilizzo del congedo parentale da parte dei padri promuove una
miglior condivisione del ruolo di cura all’interno della coppia.
Un quinto punto di rilievo è che costituisce un segnale di
incoraggiamento verso le famiglie, che arriva in un momento di
particolare difficoltà. Rispetto all’avere un figlio la percezione di un
clima positivo a sostegno di tale scelta è importante quanto le misure
oggettive in sè. Ed è ciò che è mancato con la Recessione economica del
2008-2013, con la conseguenza di un forte crescita del senso di
sfiducia.
Rimangono comunque questioni aperte che troveranno definizione con
l’effettiva implementazione delle misure indicate nel Family Act, a
partire dall’istituzione dell’assegno universale che avverrà attraverso
un decreto legislativo da adottare entro il 30 novembre, in modo da
prevedere una entrata in vigore a parire da inizio 2021. Quante saranno
le risorse effettivamente destinate? A quanto ammonterà il livello di
base dell’importo dell’assegno? Ma sarà importante anche valutare
l’impatto economico che avrà sul ceto medio e come agirà sulle scelte
riproduttive. Una seria valutazione va disegnata nella stessa
implementazione della misura.
Il Family Act potrà determinare la svolta attesa nelle politiche
familiari italiane solo se non sarà considerato un punto di arrivo ma
l’avvio di un solido processo che le porti progressivamente al centro
delle politiche di sviluppo e produzione di benessere del paese.
Nove reti e alleanze che comprendono oltre un centinaio di realtà del terzo settore, dell’associazionismo e del sindacato hanno preparato un documento per chiedere a Conte un incontro
Si parla tanto di futuro, di ripresa, dell’Italia che verrà, ma i bambini e bambine, le e gli adolescenti, i giovani che si affacciano ora nel mercato del lavoro continuano a essere del tutto marginali, nel migliore dei casi, nell’agenda politica. Di fatto largamente ignorati nel lungo lock down, continuano a essere pressoché assenti dai temi affrontati dagli Stati generali dell’economia. Come se si potesse programmare il futuro senza tener conto dei loro bisogni, diritti, desideri, ignorare il modo in cui le conseguenze della pandemia, a partire dalla chiusura delle scuole, stanno incidendo sulle loro opportunità, sul loro grado di fiducia in un sistema che li ignora mentre li sovraccarica del peso di un debito pubblico sempre più enorme e allarga le disuguaglianze. Basti pensare che nel 2019, anche se per la prima volta dal balzo in alto avvenuto nel 2009 la povertà assoluta era diminuita, essa riguardava un milione e 137 mila (l’11,4%) minorenni. Si stima che questa cifra in questi mesi sia tornata ad aumentare in modo notevole, con conseguenze per la salute, le possibilità di apprendimento e di sviluppo.
Per contrastare l’inaccettabile marginalità, se non disattenzione, del governo ma anche dell’opinione pubblica per il benessere dei più piccoli e più giovani, nove reti e alleanze che comprendono oltre un centinaio di realtà di terzo settore, dell’associazionismo civile e del sindacato, radicate ed impegnate nel mondo della scuola, negli interventi in favore dell’infanzia e dell’adolescenza, hanno deciso di preparare insieme un documento in base al quale chiedere, con una lettera aperta, un incontro a Conte.
Discusso ieri in un webinar che è stato seguito da qualche migliaio di persone, il documento chiede un investimento serio nell’educazione e benessere dei bambini e adolescenti, che corregga gli squilibri.
A questo scopo propone che il 15% delle risorse destinate alla ripresa sia destinato a interventi per migliorare le dotazioni scolastiche e la qualità dell’istruzione e a contrastare la povertà educativa e che venga definito in tempi un piano strategico nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza non settoriale ma integrato, con obiettivi chiari e sistemi di monitoraggio. A queste due richieste se ne collegano altre tre. Una riguarda l’attivazione, a partire dai territori più svantaggiati, dei Poli educativi 0-6 anni, sotto il coordinamento del Ministero dell’Istruzione, previsti dal decreto legislativo 65/20i7 e mai attuati né finanziati , con garanzia di accesso gratuito per le famiglie in difficoltà economica. I servizi che essi dovrebbero coordinare vanno intesi non solo come strumenti di conciliazione famiglia-lavoro, che pure andrebbero rafforzati, ma anche se non soprattutto come risorse educative per tutti i bambini e bambine e come sostegno ai genitori nella loro responsabilità educativa, a prescindere dallo status occupazionale. Attualmente la scarsità dell’offerta nella fascia 0-3 si traduce in un forte sotto-utilizzo da parte dei ceti più poveri e dei bimbi i cui genitori sono sotto-occupati e a bassa istruzione. Una seconda richiesta, di assoluta urgenza, riguarda l’attivazione di iniziative educative di sostegno ad ampio raggio che raggiungano da subito, senza aspettare settembre, i bambini e ragazzi più colpiti dal black out educativo e da proseguire alla ripresa delle scuole, per contrastare la dispersione scolastica e restituire la fiducia.
Infine, le nove reti segnalano la necessità di costruire patti educativi territoriali per coordinare l’offerta educativa curriculare con quella extracurriculare, mantenendo le scuole aperte tutto il giorno. Non si tratta solo di fare un inventario degli spazi disponibili per moltiplicare le aule, e neppure, come per il passato, di attivare progetti più o meno estemporanei. Piuttosto di costruire un modello cooperativo, valido anche per il futuro, di corresponsabilizzazionedi tutti i soggetti interessati all’educazione, incluse le famiglie e i ragazzi stessi, che finora sono stati considerati solo come terminali passivi di decisioni altrui.
È sperabile che il presidente Conte, dopo aver ascoltato le categorie e gli esperti più vari, ed essersi (auto)congratulato per il ritorno a scuola degli studenti per un esame di maturità dimezzato (a differenza dei loro coetanei europei che invece sono tutti tornati regolarmente a scuola normalmente), ascolti anche chi rappresenta le migliaia di educatori, insegnanti, operatori sociali ricercatori che lavorano con e per i bambini, bambine, adolescenti e le loro famiglie.
Nel mondo 1 miliardo e 650 milioni di bambini/e e ragazzi/e hanno interrotto le normali attività scolastiche per l’emergenza Covid-19. In Italia sono 9,8 milioni, il 16,8% della popolazione.Èimportante mettere al centro dell’agenda politica un investimento su di loro che rappresentano il presente e il futuro del Paese a cui sono legate le opportunità di sviluppo economico e civico di tutta la collettività.
Ripartire dall’educazione e dai diritti delle nuove generazioni con investimenti e politiche per consentire all’Italia di risollevarsi, perché senza attenzione ai diritti dei bambini e degli adolescenti non può avvenire una vera ripartenza. Con un documento articolato in cinque punti, e una richiesta di incontro al Presidente del Consiglio, nove reti di organizzazioni impegnate nel campo dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che comprendono centinaia di realtà del terzo settore, dell’associazionismo civile, professionale e del sindacato, chiedono di aprire un’interlocuzione con il Governo.
In questi mesi di lockdown dovuti al diffondersi dell’epidemia, milioni di bambini e adolescenti, con i loro genitori, hanno subìto una doppia crisi, economica ed educativa, in un Paese che mostrava già dati allarmanti e gravi disuguaglianze nelle opportunità di crescita, di apprendimento e di sviluppo. Un milione e 137 mila, pari all’11,4% (dato 2019) sono i minorenni che in Italia vivono in povertà assoluta, il 14,5% degli e delle adolescenti abbandona la scuola, il 12,3% dei ragazzi/e tra 6-17 anni vive in case prive di strumenti informatici, pc o tablet, il 10,5% dei ragazzi/e tra 15 e 19 anni non è occupato e non é inserito in un percorso di formazione.
Si tratta di una emergenza acuita dalla pandemia, ma che ha radici più lontane. Le nove reti firmatarie ritengono fondamentale e strategico intervenire per colmare i gravi squilibri demografici e sociali a svantaggio delle nuove generazioni, erose dalla bassa natalità e ad alto rischio di povertà materiale ed educativa. Serve un forte segno di discontinuità dopo decenni di limitati investimenti su istruzione e politiche per l’infanzia e l’adolescenza, al fine di rilanciare il futuro del Paese, in coerenza con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu, sottoscritta da 193 Paesi inclusa l’Italia.
l’attivazione, a partire dai territori più svantaggiati, dei Poli educativi 0-6 anni, sotto il coordinamento del Ministero dell’Istruzione, con garanzia di accesso gratuito per le famiglie in difficoltà economica;
la costruzione di patti educativi territoriali per coordinare l’offerta educativa curriculare con quella extracurriculare, mantenendo le scuole aperte tutto il giorno, coordinati e promossi dagli enti locali, in collaborazione con le scuole e il civismo attivo;
la possibilità di raggiungere i più colpiti dal black out educativo a partire dall’estate, con una offerta educativa personalizzata, da proseguire alla ripresa delle scuole, con un’attenzione speciale al benessere psicologico, alle necessità degli alunni disabili e agli adolescenti usciti dal circuito scolastico;
l’allocazione del 15% del totale degli investimenti per il superamento della crisiin educazione per dotare le scuole delle risorse necessarie, migliorare la qualità dell’istruzione rendendola più equa e incisiva, contrastare la povertà educativa e la dispersione;
la definizione di un piano strategico nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza, con obiettivi chiari e sistemi di monitoraggio, per promuovere il rilancio diffuso delle infrastrutture sociali e educative.
Il contenuto del documento sarà discusso in un webinar pubblico nella giornata di oggi alle 14:30 sulla pagina Facebook EducAzioni – i 5 passi.
Alleanza per l’Infanzia, Appello della
Società Civile per la ricostruzione di un welfare a misura di
tutte le persone e dei territori, Alleanza Italiana per lo Sviluppo
Sostenibile – ASviS, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza
– CNCA, Forum Disuguaglianze e Diversità – ForumDD, Forum Education,
#GiustaItalia Patto per la Ripartenza, Gruppo CRC, Tavolo Saltamuri.