CRISI DEMOGRAFICA

Politiche per un paese che ha smesso di crescere

Un libro di Alessandro Rosina (2021)

L’Italia è uno dei paesi al mondo in cui l’inver­no demografico è più accentuato. Se gli attuali trend non verranno invertiti, inevitabilmente si andrà incontro a criticità irrimediabili. Quello che distingue il nostro dagli altri paesi avanzati con natalità più elevata non è un minor numero di figli desiderati, ma politiche meno efficienti a favore delle famiglie e delle nuove generazioni.
Il saggio Crisi demografica di Alessandro Rosina – forse la più ag­giornata, organica e propositiva disamina del tema – delinea uno scenario italiano reso ancora più drammatico dagli effetti della pandemia, che ha causato un’ulteriore flessione delle nascite. Oggi ci troviamo di fronte a un bivio ineludibile: da un lato c’è il sentiero stretto e in salita che porta alla nuova fase di sviluppo eco­nomico e sociale resa possibile dai fondi europei (non a caso denominati Next Generation Eu) e dall’altro, se questa occasione unica non verrà colta, l’ampia strada verso un declino irreversi­bile e insostenibile. La scelta richiede grande chiarezza di intenti e ancor più grande determi­nazione nell’imboccare il percorso verso il futuro. Rosina mostra la fattibilità di questa prospet­tiva delineando concrete politiche sistemiche – dai servizi per l’infanzia all’assegno unico e universale per i figli, fino a incisive riforme del mondo del lavoro – per consentire alle nuove ge­nerazioni di sentirsi davvero protagoniste in un paese che cresce con loro.

Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dirige il «Center for Applied Statistics in Business and Economics». È tra i fondatori della rivista online «Neodemos» e coordinatore scientifico della principale indagine italiana sulle nuove generazioni, il «Rapporto giovani» dell’Istituto G. Toniolo. Con Vita e Pen­siero ha pubblicato Un decalogo per i genitori italiani. Crescere capitani coraggiosi (2009, con E. Ruspini), NEET. Giovani che non studiano e non lavorano (2015), Il futuro non invecchia (2018).

L’assegno unico e universale per i figli: un e-book sulla novità italiana e il contesto europeo

Alleanza segnala l’e-book curato da Alessandro Rosina

L’Assegno unico e universale rappresenta uno degli elementi più innovativi delle politiche familiari italiane. Il primo luglio scorso è partita una versione temporanea e da gennaio 2022 la misura entrerà a regime. Neodemos dedica al tema un ebook, curato da Alessandro Rosina, che si propone come strumento utile per chi è interessato ad approfondire caratteristiche, potenzialità e limiti di tale misura, ma anche come essa si configura rispetto a quanto previsto in altri paesi.

Al libro hanno contribuito tra i maggiori esperti italiani ed europei di politiche familiari. È aperto da un contributo di Chiara Saraceno e chiuso da uno di Massimo Livi Bacci. Contiene due interventi di ricercatori della Banca d’Italia sul costo dei figli e sui potenziali effetti redistribuivi.

Nella seconda parte sono raccolti interventi che presentano un ampio quadro delle misure di sostegno alla genitorialità messe in campo nel resto d’Europa (in particolare in Portogallo, Spagna, Francia, Regno Unito, Svezia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Russia).

L’auspicio è che possa essere uno strumento utile per arricchire in modo informato il dibattito pubblico sul tema, anche al fine di migliorare la domanda di politiche pubbliche di qualità ed efficaci.

L’e-book è liberamente scaricabile cliccando sulla copertina qui sotto o all’indirizzo:
https://www.neodemos.info/2021/09/10/lassegno-unico-e-universale-per-i-figli-un-e-book-sulla-novita-italiana-e-il-contesto-europeo/

Family Act e piano Colao: le politiche familiari per la rinascita del paese

di Alessandro Rosina

LEGGI L’ARTICOLO SU NEODEMOS (19 Giugno 2020)

Dopo il crollo continuo delle nascite nello scorso decennio, quello appena iniziato si è aperto con un’emergenza sanitaria che rischia di deprimere ulteriormente le scelte riproduttive. A partire dai contenuti del “Piano Colao” e dal “Family Act”, Alessandro Rosina sviluppa alcune considerazioni sull’approccio necessario per politiche familiari efficaci.

La demografia italiana, come ben noto, è in grave sofferenza da molto prima dell’emergenza sanitaria. In particolare, le nascite nell’ultimo decennio hanno subito una diminuzione tra le più accentuate in Europa e con entità maggiore rispetto alle stesse previsioni Istat. Diventa quindi cruciale non solo ridurre l’impatto negativo dovuto alle conseguenze del contenimento della diffusione del virus, ma agire con rinnovata determinazione sui fattori che da troppo tempo vincolano al ribasso le scelte riproduttive degli italiani.

Un solido piano di ridefinizione e rilancio delle politiche familiari va costruito su tre cardini. Il primo è quello di riconoscere gli squilibri demografici come una delle principali fragilità italiane. Il secondo è favorire un cambiamento culturale che porti a considerare l’avere figli non solo come un costo individuale a carico delle famiglie ma un valore colllettivo che rende più solido il futuro comune. A questo si associa un’impostazione che porti a considerare le politiche familiari come parte integrante delle politiche di sviluppo (per le ricadute sull’intreccio tra natalità, occupazione femminile, sviluppo umano di qualità a partire dall’infanzia). Il terzo è l’impegno a mettere in campo un sistema di misure integrate con obiiettivi chiari, impegno a realizzarle e valutazione dell’impatto.

Il “Piano Colao”

Il maggior sforzo finora compiuto sulla definizione del quadro d’insieme rispetto alla sfida posta dall’emergenza sanitaria e sulle azioni necessarie per il rilancio del Paese, è rappresentato dal cosidetto “Piano Colao”. Il rapporto finale pubblicato dal Comitato di esperti nominati dal Governo e guidati da Vittorio Colao si compone di 102 proposte organizzate in 6 sezioni.

Si tratta di un lavoro di grande rilievo, svolto da riconosciuti esperti e contenente misure largamente condivisibili. Di fatto è una attenta selezione di proposte già da tempo presenti e discusse, opportunamente arricchita in funzione del momento particolare del paese e della sua esigenza di ripartire mettendosi sui giusti binari.

Risulta però un documento concettualmente debole sul versante demografico. Il termine “demografia” appare una sola volta in 52 pagine. Del tutto assenti sono termini chiave che rimandano a sfide cruciali per il nostro paese (come “invecchiamento”, “immigrazione”, “natalità”).

Ma, soprattutto, i tre cardini sopra indicati sono in buona parte disattesi. Rispetto al terzo cardine, alcue misure importanti sul tema della natalità, da tempo indicate dai demografi, sono presenti, ma riportate come elenco di interventi indipendenti, senza una esplicitazione della loro azione integrata sul processo di formazione delle famiglie e sulle scelte riproduttive. Non c’è alcuna indicazione di quali siano le misure più urgenti e su come possano concorrere in modo interdipendente su obiettivi predefiniti su cui misurare poi l’impatto. Questo limite deriva in parte anche dalla debolezza del secondo cardine. Le politiche familiari nel documento Colao sono ridotte al ruolo (pur importante, ma limitato) di insieme di interventi per ridurre gli squilibri di genere. Sono concentrate nel punto 97, all’interno della sottosezione XXIII (“Promuovere la parità di genere”) della sezione “Individui e famiglie”.

Tutto questo è coerente con il non aver posto gli squilibri demografici tra le principali fragilità del Paese (pg. 4) e il non considerare il loro superamento (o almento contenimento) come uno degli obiettivi strategici del rilancio dell’Italia (p. 45), disattendendo così il primo cardine. Rimane in ogni caso la raccolta ragionata più ricca e aggiornata di interventi di cui complessivamente ha bisogno il Paese.

Il “Family Act”

Qualche giorno dopo la pubblicazione del Piano Colao il Governo ha fatto un passo importante sul tema delle politiche familiari approvando il “Family Act”. Vedremo come verrà poi nel concreto realizzato e l’effettiva entità delle risorse destinate. Per ora possiamo risconoscere vari elementi positivi che nel passato sono stati carenti, non solo come misure ma anche come approccio.

Un primo aspetto è l’essere un pacchetto di azioni che in modo sistemico è volto a rafforzare tutte e tre le dimensioni delle poltiche familiari: il sostegno economico, i servizi, il tempo. In secondo luogo si tratta di misure non estemporanee ma durature, con riduzione anche della frammentarietà e disomogeneità. In particolare l’assegno unico universale va a tutti i bambini (in quanto tali, indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori) e si estende dalla nascita all diciottesimo compleanno. Questo strumento (evoluzione di una proposta lasciata per anni nei cassetti del Senato ), non consente solo un riordino e una semplificazione dell’esistente, ma migliora anche efficienza ed equità del sostegno economico (riducendo gli effetti scoordinati e distorsivi dell’eterogeneità delle condizioni di accesso). Anche altre misure – si pensi al rafforzamento dei servizi per l’infanzia sul territorio (a partire dal Sud) e all’estensione del congedo di paternità a 10 giorni, conformandosi alla direttiva europea – sono durature e impostate in modo da ridurre la disomogeneità (territoriale e tra categorie di lavoratori).

Un terzo elemento di rilievo è che si rende eplicito che le politiche familiari non possono essere limitate al contrasto della povertà. L’assegno universale ha una parte legata al reddito delle famiglie, ma risulta efficace se viene percepito come concreto, non simbolico, dal ceto medio (si vedano, a proposito, anche le osservazioni dell’Alleanza per l’infanzia). Un quarto aspetto è il fatto di promuovere un cambiamento culturale. L’assegno con il suo carattere di universalità è coerente con l’idea che la scelta di avere un figlio non possa essere considerata solo un costo privato a carico dei genitori ma vada ad arricchire un bene collettivo – ovvero le nuove generazioni – che consente a tutta la società di mettere basi più solide al proprio futuro. Inoltre l’incentivo all’utilizzo del congedo parentale da parte dei padri promuove una miglior condivisione del ruolo di cura all’interno della coppia.

Un quinto punto di rilievo è che costituisce un segnale di incoraggiamento verso le famiglie, che arriva in un momento di particolare difficoltà. Rispetto all’avere un figlio la percezione di un clima positivo a sostegno di tale scelta è importante quanto le misure oggettive in sè. Ed è ciò che è mancato con la Recessione economica del 2008-2013, con la conseguenza di un forte crescita del senso di sfiducia.

Rimangono comunque questioni aperte che troveranno definizione con l’effettiva implementazione delle misure indicate nel Family Act, a partire dall’istituzione dell’assegno universale che avverrà attraverso un decreto legislativo da adottare entro il 30 novembre, in modo da prevedere una entrata in vigore a parire da inizio 2021. Quante saranno le risorse effettivamente destinate? A quanto ammonterà il livello di base dell’importo dell’assegno? Ma sarà importante anche valutare l’impatto economico che avrà sul ceto medio e come agirà sulle scelte riproduttive. Una seria valutazione va disegnata nella stessa implementazione della misura.

Il Family Act potrà determinare la svolta attesa nelle politiche familiari italiane solo se non sarà considerato un punto di arrivo ma l’avvio di un solido processo che le porti progressivamente al centro delle politiche di sviluppo e produzione di benessere del paese.

Ripartiamo dai bambini: non servono toppe, ma un vestito nuovo

28 MAGGIO 2020
Intervista di Sara De Carli a Alessandro Rosina

Per Alessandro Rosina, uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia, le due priorità a cui dare subito risposta sono i servizi per l’infanzia (la fascia 0/3 non è coinvolta nemmeno nei centri estivi) e il contrasto alla dispersione scolastica per gli adolescenti.

«Le soluzioni contingenti e frammentate sono come le toppe che si mettono ad un vestito sgualcito, che nel complesso risulta sempre fuori misura. Abbiamo invece bisogno del disegno di un vestito nuovo»

Bambini e ragazzi finora sono stati invisibili, con una pressoché totale rimozione della dimensione educativa della crisi. Ma adesso, che fare? Come cambiare le cose? Da più parti si dice che devono essere al centro per la ripartenza, si moltiplicano gli appelli e i manifesti, le agende e le proposte. Alessandro Rosina è uno dei portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia: a lui chiediamo di indicarci due priorità.

LEGGI L’INTERVISTA SU VITA

Coronavirus, l’impatto maggiore è sui giovani. Parla il prof Rosina (Cattolica)

Intervista di Francesco Gnagni per Formiche.net

“L’impatto più diretto dell’epidemia è concentrato soprattutto sulle generazioni più anziane. Però le conseguenze indirette, con maggior impatto sul futuro del Paese, rischiano di ricadere soprattutto sulle nuove generazioni”. Conversazione di Formiche.net con il demografo Alessandro Rosina, docente l’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Il futuro non invecchia”

Se è vero che il contagio dovuto al Coronavirus colpisce in gran parte le generazioni più anziane, tuttavia non senza eccezioni, è altrettanto vero che le generazioni più giovani non possono stare per niente tranquille. Le ricadute di tipo economico e sociale rischiano infatti di farsi sentire anche, e forse soprattutto, sui più giovani. Di questo Formiche.net ne ha parlato con il prof. Alessandro Rosina, docente di Demografia presso l’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Il futuro non invecchia” (Vita e Pensiero, 2018).

Professore, in questi terribili giorni vediamo scorrere sui nostri schermi e monitor i numeri, tragici, dei decessi dovuti al coronavirus. Con un senso drammatico di impotenza. Come influisce, tutto questo, sulla nostra situazione demografica, già non priva di problemi e difficoltà?

La pandemia di Covid-19 sta colpendo in modo particolarmente accentuato il nostro Paese. Uno dei motivi è anche l’elevata presenza di anziani e cosiddetti “grandi anziani” (gli over 80), particolarmente fragili per condizioni fisiche e presenza spesso di altre patologie. Gli over 80 in Italia sono oltre 4 milioni e 300 mila, un dato quasi equivalente a tutta la popolazione dell’Irlanda. In alcune regioni, in particolare la Lombardia, il numero giornaliero di decessi è arrivato a raddoppiare quelli osservati negli anni scorsi, in periodo di “normalità”. Ci sono state epidemie molto più gravi nel passato, ma per le società moderne avanzate l’impatto di questa crisi sanitaria è del tutto inedito. Questo fa capire che non bisogna mai abbassare la guardia rispetto a questi rischi.

In questo momento vediamo che il timone delle discussioni non sta più in mano a opinionisti e politici, ma ai medici. Trova che questo stia portando in una crescita di fiducia, da parte degli italiani, nella scienza?

Veniamo da anni in cui sembrava che la vaccinazione fosse un optional, che le competenze non fossero più necessarie, che i dati scientifici potessero essere sostituiti dal senso comune veicolato dai social. Ora, in questa emergenza, con i timori che suscita e le misure drastiche prese, i dati e gli esperti sono tornati al centro dell’attenzione. Penso che questo sia positivo ed è importante che si consolidi questa fiducia anche dopo questa crisi. Molte cose che abbiamo dato per scontate non potranno più esserlo in futuro. Si dovrà in ogni caso, anche a livello collettivo, investire di più sull’innovazione, su ricerca e sviluppo, ma anche sulla solidità del sistema di welfare.

La maggior parte dei decessi ha un’età molto avanzata. Tuttavia, il clima che si sta generando, e le condizioni in cui si è portati a vivere ora, e inevitabilmente anche nei prossimi mesi, rischiano di influire anche sulla natalità?

L’impatto più diretto dell’epidemia è quello sulla mortalità ed è concentrato soprattutto sulle generazioni più anziane. Le conseguenze però indirette, con maggior impatto sul futuro del paese, rischiano di ricadere invece soprattutto sulle nuove generazioni, soprattutto indebolendo i percorsi formativi e professionali. La natalità italiana era già tra le peggiori in Europa e in continua diminuzione, anche a causa delle difficoltà oggettive delle nuove generazioni e l’incertezza verso il futuro. Va tenuto presente che già prima di questa crisi eravamo il paese con record di Neet in Europa (gli under 35 che non studiano e non lavorano) e con più tardiva età alla nascita del primo figlio. Il rischio è quindi che le scelte di chi progettava l’uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una propria famiglia, di avere un figlio, vengano ulteriormente posticipate e riviste al ribasso.

In Gran Bretagna una delle prime risposte è stata quella di obbligare all’isolamento soltanto gli over 70. Bisogna pensare all’emergenza anche in termini intergenerazionali?

Bisogna considerare sia le specifiche fragilità e potenzialità delle diverse generazioni e delle diverse età della vita. Ma è illusorio e forse sbagliato pensare all’isolamento solo degli anziani, con la pretesa di continuare il resto della vita sociale ed economica come se niente fosse. C’è necessità di una consapevolezza e responsabilità collettiva, che deve vederci tutti uniti.

Quali sono i rischi maggiori che sorgeranno da questa emergenza, oltre a quello economico? Penso a quello educativo, con le scuole chiuse, ma non solo.

Il tema educativo è centrale. Se si improvvisa e non si adotta una strategia adeguata, accessibile a tutti, il rischio è quello di impoverire la formazione complessiva dei più giovani ma anche di inasprire le diseguaglianze sociali. In un comunicato congiunto, le associazioni Alleanza per l’infanzia e Investing in children hanno chiesto al governo l’importanza di rafforzare le azioni volte a sostenere le famiglie con problemi economici o che vivono in quei quartieri dove già la dispersione scolastica è a livelli altissimi.
In tali famiglie non mancano solo tablet e connessione wifi, ma anche supporto e competenze dei genitori per sostenere i figli nell’approccio della home education integrata con la fruizione della formazione a distanza.

Si dice che nelle epoche passate l’impatto delle epidemie era più devastante. Ma come si controlla oggi il contagio epidemico, in un mondo globale in cui tutto è connesso?

Il contagio si controlla, come per le ben più gravi epidemie del passato, soprattutto attraverso la riduzione dei contatti fisici. Oggi possiamo rimanere isolati ma continuare, in buona parte, ad essere in relazione con gli altri dal punto di vista sociale e lavorativo, grazie alle nuove tecnologie. Ma anche qui non si può improvvisare, che si tratti di formazione a distanza o smart working. Quello delle nuove tecnologie da sviluppare coniugando efficienza, sicurezza e valorizzazione della componente umana sarà un tema centrale nei prossimi anni.

La condizione di vita che avevamo raggiunto e che ci sembrava irreversibile, oggi si riscopre improvvisamente, e inevitabilmente, precaria e instabile?

Nulla è irreversibile. Siamo in cammino continuo nella costruzione di un mondo migliore, che ha alla base l’impegno di fornire alle nuove generazioni gli strumenti per capirlo e per agire da protagoniste. Non dobbiamo considerare gli obiettivi di benessere raggiunti come scontati, ma non dobbiamo nemmeno rinunciare all’ambizione di guardare oltre le difficoltà contingenti per capire in quale direzione costruire il futuro. Dopo la tempesta bisognerà ritrovare una solida rotta.


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