Coronavirus, effetti pesanti sulla mortalità e la natalità

di Alessandro Rosina

AVVENIRE.IT
martedì 17 marzo 2020
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[ESTRATTO]
In Lombardia la media dei decessi a marzo era negli anni scorsi attorno ai 300 al giorno. L’epidemia da sola è arrivata a causarne altrettanti

Da quando è cominciata l’emergenza del coronavirus, sono cresciute la fiducia nella scienza e l’attenzione ai dati. La voce degli esperti ha conquistato la scena nel dibattito pubblico e i numeri che essi forniscono sono diventati le coordinate essenziali comuni per capire la gravità della situazione, aiutandoci ad evitare sia la sottovalutazione sia l’allarmismo.

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se la mortalità colpisce soprattutto le classi di età avanzata, le principali conseguenze indirette del contenimento del virus tendono a ricadere significativamente proprio sui più giovani. È a essi che vengono chiesti i maggiori sacrifici per proteggere, giustamente, le generazioni più mature. Perdono giorni di scuola in un Paese che già ha forti criticità nella formazione (con rischio di aumento delle diseguaglianze, come avverte un comunicato congiunto di Investing in Children e Alleanza per l’infanzia). Perdono opportunità di lavoro in un Paese che ha già il record di Neet in Europa. Perdono reddito, in un Paese in cui a crescere negli ultimi anni è stata soprattutto la povertà delle coppie under 35 con figli. E devono ancor più rinviare la realizzazione dei propri progetti di vita in un Paese che presenta l’età più tardiva al primo figlio.

Uno degli Stati europei che meno hanno investito in tempo di ‘normalità’ sulle nuove generazioni, che più hanno caricato debito pubblico sul loro futuro, che più hanno visto la crisi economica incidere sui nuovi entranti nel mondo del lavoro, si trova ora a chiedere ai giovani il maggior impegno di solidarietà verso le generazioni più mature.
Se vogliamo il bene delle nuove generazioni, ma soprattutto se vogliamo che il bene che le nuove generazioni possono generare diventi la spinta per una ripartenza vitale dopo l’emergenza, è necessario costruire fin d’ora un piano che restituisca a esse una posizione centrale nelle politiche del Paese. Un piano orientato a rafforzare la loro formazione, l’ingresso qualificato nel mondo del lavoro, la valorizzazione del capitale umano, la realizzazione piena dei progetti di vita. Questo renderà anche più solido e solidale il Paese di fronte a prossime nuove emergenze.

Il futuro non invecchia

un libro di Alessandro Rosina

Copertina libro Rosina "Il futuro non invecchia"

Il futuro non invecchia

Alessandro Rosina

2018

Vita e Pensiero editore

Ci avviamo in Italia e in Europa verso un mondo con sempre meno giovani e sempre più anziani: lo dicono con cruda evidenza i numeri delle statistiche demografiche. È l’esito di un processo che ha conosciuto una straordinaria accelerazione negli ultimi decenni, grazie alla scienza e alla tecnologia che hanno consentito una forte diminuzione della mortalità infantile e un aumento considerevole della longevità, soprattutto in Occidente. E a questi fattori va poi sommata anche una drastica caduta della natalità, ben al di sotto del tasso che garantirebbe il rinnovo generazionale. Il nostro futuro dovrà necessariamente fare i conti con le sfide di questo inedito paesaggio antropologico, economico e sociale. Il saggio di Alessandro Rosina invita ad affrontarle a viso aperto, senza cedere a suggestioni apocalittiche, ma valorizzando il potenziale dei soggetti coinvolti. Il corso della vita va attivamente coltivato in tutti i suoi stadi – dall’infanzia all’età anziana – con lucidità e lungimiranza, tenendo viva la tensione verso un futuro da costruire con fiducia. Snodo decisivo di questo processo è la valorizzazione del potenziale delle giovani generazioni.
Ad esse andrebbe passato il testimone, riconoscendo davvero, attraverso adeguati percorsi formativi ed efficaci politiche del lavoro, il protagonismo che spetta loro di diritto. Un futuro che non invecchia ha la sua condizione fondamentale proprio in questa alleanza tra le generazioni.
Per darcene un’idea, Rosina rivisita in tale prospettiva dieci parole-chiave che iniziano con la “f” di futuro: forza/fragilità, formazione, fare, fallimento, fiducia, famiglia, facebook, femminile, fede, felicità.
Abbiamo bisogno di riscoprirne il senso per appoggiarvi la nostra speranza.

Crisi demografica e democratica richiedono un salto di qualità nel dibattito pubblico e nelle politiche

di Alessandro Rosina, Emmanuele Pavolini, Chiara Saraceno

Il tema del crollo delle nascite sta conquistando crescente attenzione nel dibattito pubblico internazionale e in quello italiano, testimoniata anche dall’articolo pubblicato (in data 20 gennaio 2020) sul Corriere della Sera a firma Giovanni Belardelli (Crollo delle nascite e  «trappola democratica»). La preoccupazione per le implicazioni degli squilibri demografici sull’economia e sul rapporto tra generazioni, con ricadute anche sociali e politiche, porta ad interrogarsi sulle cause e sulle misure più adatte non solo per ridurre le conseguenze negative ma anche per intervenire sui fattori che ne stanno alla base. È, pertanto, importante che su questi temi si sviluppi un confronto di qualità e competente nel dibattito pubblico, in modo da aumentare nel Paese la conoscenza e la consapevolezza sulle scelte da fare.
In particolare, se l’Italia non rafforza il contributo delle nuove generazioni, non potrà che diventare sempre più ingarbugliato il nodo delle pensioni e più difficile da sostenere la spesa sanitaria su una crescente popolazione anziana. Proprio per l’importanza del tema per lo sviluppo del Paese e la sua sostenibilità sociale, è cruciale soprattutto una attenzione alle misure in grado di contrastare la caduta delle nascite e dar forza allo sviluppo umano delle nuove generazioni.
La demografia e le scienze sociali non forniscono ricette certe e non c’è nemmeno una misura unica che si dimostra inequivocabilmente vincente. C’è però ampio consenso nella letteratura scientifica sul ruolo positivo di azioni stabili e strutturali, in grado di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia, assieme all’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne nel mondo del lavoro e una condivisione di ruoli all’interno della famiglia. Tanto più in un Paese che vede non solo aumentare gli anziani, ma anche ridursi la popolazione in età attiva, favorire la doppia scelta di lavorare e aver figli è un obiettivo cruciale.

A livello sia di paesi Ocse, che all’interno della stessa Italia, la fecondità tende ad essere più elevata dove maggiore è l’occupazione femminile, in presenza di adeguate politiche di conciliazione (per approfondimenti si rimanda tra gli altri, all’articolo di Caltabiano e Rosina, “Nascite in crisi, dipende solo dal numero di madri?”, Neodemos).

L’Italia è uno dei paesi in Europa con la peggior combinazione tra bassa fecondità, bassa occupazione femminile e alta povertà infantile.

Aiutano senz’altro i congedi parentali, il part time reversibile, trasferimenti economici non occasionali. Promettente è anche l’impatto dello smart working. Ma non si può prescindere da una solida base di servizi per l’infanzia. L’Italia è rimasta drammaticamente indietro su questo fronte. È interessante il caso della Germania che ha recuperato molto negli ultimi dieci anni, rispetto alla media europea, in termini di copertura e accesso ai nidi, con conseguente aumento delle nascite. Servizi per l’infanzia accessibili e di buona qualità, inoltre, costituiscono un prezioso strumento di pari opportunità  per i bambini e di contrasto alla povertà educativa, come ampiamente  documentato da studi internazionali e anche italiani. Per questo dovrebbero progressivamente diventare un servizio universale, disponibile anche a prescindere dalla condizione occupazionale dei genitori.

Ci sembra quindi importante che nel dibattito pubblico, bonus vari e strumenti strutturali come il potenziamento dei nidi non vengano messi in un unico calderone e sbrigativamente considerati “palesemente inadeguati”. La recentemente costituita ”Alleanza per l’infanzia” della quale gli scriventi sono i coordinatori, nasce proprio dall’esigenza di creare consapevolezza pubblica e dare supporto alle politiche non solo di supporto alle scelte riproduttive ma di vero e effettivo (misurabile anche in termini di impatto) investimento sulle nuove generazioni. Tutto ciò a partire dal riconoscimento che l’Italia non sembra essere stata capace fino ad ora di sviluppare politiche pubbliche e interventi collettivi all’altezza delle sfide strategiche per la crescita solida del Paese, la quale deve avere alla base proprio la possibilità di adeguata educazione e promozione dello sviluppo umano a partire dalla prima infanzia e in coerenza con il benessere relazionale ed economico della famiglia.

Se vogliamo dar più peso alle nuove generazioni e rafforzare il loro ruolo nell’Italia dei prossimi decenni, questo è l’investimento più importante che, a partire da oggi, possiamo fare.