Crisi demografica e democratica richiedono un salto di qualità nel dibattito pubblico e nelle politiche

di Alessandro Rosina, Emmanuele Pavolini, Chiara Saraceno

Il tema del crollo delle nascite sta conquistando crescente attenzione nel dibattito pubblico internazionale e in quello italiano, testimoniata anche dall’articolo pubblicato (in data 20 gennaio 2020) sul Corriere della Sera a firma Giovanni Belardelli (Crollo delle nascite e  «trappola democratica»). La preoccupazione per le implicazioni degli squilibri demografici sull’economia e sul rapporto tra generazioni, con ricadute anche sociali e politiche, porta ad interrogarsi sulle cause e sulle misure più adatte non solo per ridurre le conseguenze negative ma anche per intervenire sui fattori che ne stanno alla base. È, pertanto, importante che su questi temi si sviluppi un confronto di qualità e competente nel dibattito pubblico, in modo da aumentare nel Paese la conoscenza e la consapevolezza sulle scelte da fare.
In particolare, se l’Italia non rafforza il contributo delle nuove generazioni, non potrà che diventare sempre più ingarbugliato il nodo delle pensioni e più difficile da sostenere la spesa sanitaria su una crescente popolazione anziana. Proprio per l’importanza del tema per lo sviluppo del Paese e la sua sostenibilità sociale, è cruciale soprattutto una attenzione alle misure in grado di contrastare la caduta delle nascite e dar forza allo sviluppo umano delle nuove generazioni.
La demografia e le scienze sociali non forniscono ricette certe e non c’è nemmeno una misura unica che si dimostra inequivocabilmente vincente. C’è però ampio consenso nella letteratura scientifica sul ruolo positivo di azioni stabili e strutturali, in grado di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia, assieme all’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne nel mondo del lavoro e una condivisione di ruoli all’interno della famiglia. Tanto più in un Paese che vede non solo aumentare gli anziani, ma anche ridursi la popolazione in età attiva, favorire la doppia scelta di lavorare e aver figli è un obiettivo cruciale.

A livello sia di paesi Ocse, che all’interno della stessa Italia, la fecondità tende ad essere più elevata dove maggiore è l’occupazione femminile, in presenza di adeguate politiche di conciliazione (per approfondimenti si rimanda tra gli altri, all’articolo di Caltabiano e Rosina, “Nascite in crisi, dipende solo dal numero di madri?”, Neodemos).

L’Italia è uno dei paesi in Europa con la peggior combinazione tra bassa fecondità, bassa occupazione femminile e alta povertà infantile.

Aiutano senz’altro i congedi parentali, il part time reversibile, trasferimenti economici non occasionali. Promettente è anche l’impatto dello smart working. Ma non si può prescindere da una solida base di servizi per l’infanzia. L’Italia è rimasta drammaticamente indietro su questo fronte. È interessante il caso della Germania che ha recuperato molto negli ultimi dieci anni, rispetto alla media europea, in termini di copertura e accesso ai nidi, con conseguente aumento delle nascite. Servizi per l’infanzia accessibili e di buona qualità, inoltre, costituiscono un prezioso strumento di pari opportunità  per i bambini e di contrasto alla povertà educativa, come ampiamente  documentato da studi internazionali e anche italiani. Per questo dovrebbero progressivamente diventare un servizio universale, disponibile anche a prescindere dalla condizione occupazionale dei genitori.

Ci sembra quindi importante che nel dibattito pubblico, bonus vari e strumenti strutturali come il potenziamento dei nidi non vengano messi in un unico calderone e sbrigativamente considerati “palesemente inadeguati”. La recentemente costituita ”Alleanza per l’infanzia” della quale gli scriventi sono i coordinatori, nasce proprio dall’esigenza di creare consapevolezza pubblica e dare supporto alle politiche non solo di supporto alle scelte riproduttive ma di vero e effettivo (misurabile anche in termini di impatto) investimento sulle nuove generazioni. Tutto ciò a partire dal riconoscimento che l’Italia non sembra essere stata capace fino ad ora di sviluppare politiche pubbliche e interventi collettivi all’altezza delle sfide strategiche per la crescita solida del Paese, la quale deve avere alla base proprio la possibilità di adeguata educazione e promozione dello sviluppo umano a partire dalla prima infanzia e in coerenza con il benessere relazionale ed economico della famiglia.

Se vogliamo dar più peso alle nuove generazioni e rafforzare il loro ruolo nell’Italia dei prossimi decenni, questo è l’investimento più importante che, a partire da oggi, possiamo fare.