Genitori 2019

di Giorgio Tamburlini

Siamo giovani o vecchi o bambini, femmine o maschi; possiamo essere italiani o stranieri, e anche cristiani, interisti, marchigiani, pescatori, avvocati, precari, diabetici, musicisti, socialisti, montanari ecc. ecc.
Ognuno di noi è un arlecchino di identità diverse, alcune stabili, altre transitorie. Ognuno di noi assume identità diverse a seconda della lente, o delle lenti, attraverso cui è visto e vede se stesso. È questo uno dei motivi per i quali un’attribuzione identitaria unica e assoluta è totalmente illogica, che sia nostra o di qualcun altro. Non siamo mai una cosa sola, e nemmeno due, o tre. Affermarlo è innanzitutto un falso. Tra le nostre possibili identità ve n’è una particolarmente importante, nel senso che ci condiziona molto nei pensieri e nelle opere, per una buona parte della vita: quella di essere genitori. Una identità che a sua volta può declinarsi in tipologie diverse: genitore riconosciuto, segreto, biologico, adottivo, sopraggiunto… anche queste non necessariamente esclusive l’una dell’altra.
Uno degli aspetti peculiari di questa complessa e articolata identità genitoriale è la sua mutevolezza, sia in ciascuno di noi, nel corso della propria vita, sia in tutti noi umani nel corso delle epoche e attraverso le culture: sono certamente un genitore diverso rispetto a com’ero trent’anni fa, molto diverso da come lo sono stati i miei stessi genitori, e da come lo sono in questo momento altri, quelli che vivono a Nanchino, a Yaoundé o a Buenos Aires. Ma c’è qualcosa di comune, di ragionevolmente stabile negli anni, nei secoli e nelle diverse culture, in questo essere genitori? Non molto, ma qualcosa sì: un istinto di protezione, ma anche un senso di proprietà; una speranza; un amore, un dovere, una gioia, un cruccio…
E, certamente, resta immutato, ma comunque definito dal genere, e dal periodo riproduttivo, qualche marker biologico, neurobiologico, neuroendocrino. Tutto il resto dell’identità genitoriale è mutevole, dipendente da epoche, culture, norme, tradizioni e contesti. In questo nostro tempo di “grande accelerazione” è ancora più mutevole, come sanno gli educatori, i pediatri, gli psicologi, i demografi, i sociologi, gli esperti di marketing e di comunicazione. Cambia la genitorialità in quanto dimensione del singolo, e cambiano, come si sa, le tipologie familiari, i comportamenti riproduttivi, i vincoli giuridici e le norme sociali. Su tutti i diversi aspetti della genitorialità abbiamo a disposizione dati, soprattutto quantitativi, derivanti da rilevazioni statistiche, indagini e ricerche, che riguardano i genitori stessi, o i nuclei familiari di cui fanno parte, e i servizi a loro dedicati. Da questi dati apprendiamo, ad esempio, anche che questa identità genitoriale è, in Italia, in forte contrazione quantitativa. Tra gli italiani, la proporzione degli almeno-una volta-genitori si sta riducendo rapidamente: era il 90%, sta passando, grosso modo, al 75%.
I numeri dicono già molto, ma non spiegano tutto. In questi anni di lavoro con operatori dell’infanzia di varie discipline, e con le stesse famiglie, abbiamo raccolto sui genitori di oggi descrizioni, parole chiave. Eccone alcune, raccolte da Nord a Sud, senza pretesa di completezza o di rappresentatività: solitudine; insicurezza, richiesta di aiuto, spesso implicita; difficoltà a leggere e interpretare le emozioni dei figli; fatica ad adeguarsi alla nuova identità di madri e padri, di operare alcune rinunce rispetto allo stile di vita precedente; mancanza di esperienza dell’essere genitori, anche di quella trasferita dall generazione precedente; scarso supporto familiare; sovraesposizione alle informazioni e difficoltà a discernere; paura, per l’incolumità, soprattutto fisica, dei figli, o senso generico di angoscia, che si trasferiscono in preoccupazioni spesso sproporzionate; iperprotezione unita a delega di responsabilità educative; difficoltà a conciliare rapporti di coppia e carriera professionale, o semplicemente lavoro e genitorialità.
C’è anche dell’altro, naturalmente: molto impegno, molta voglia di accompagnare i bambini nella loro crescita, di esserci, anche da parte dei padri. Quando questo c’è, però, spesso coesiste con qualcuna delle difficoltà descritte. Su questo merita riflettere. Come può essere più difficile fare il genitore oggi, rispetto a qualche decennio fa? Certo, non ci sono più le grandi famiglie con la loro capacità di protezione sociale; l’urbanizzazione e le condizioni di lavoro creano ostacoli logistici importanti, i servizi sono carenti, i redditi a volte insufficienti. Ma ci sono anche meno malattie, meno povertà (nonostante tutto), più servizi (nonostante tutto), più informazioni (molte più informazioni) e, almeno in teoria, più strumenti per comprenderle, rispetto al passato. Eppure, che sia più difficile è un fatto. Ne è testimone il calo delle nascite che, se in buona parte dovuto anche al ridursi progressivo della coorte di giovani in età fertile, è certamente anche dovuto al contrarsi del numero di figli per donna: quelli messi al mondo e, stando alle ultime rilevazioni, anche quelli desiderati. Se non fosse più difficile fare figli perché mai se ne farebbero di meno? Il fatto è che non tutte le difficoltà genitoriali si possono spiegare con le condizioni materiali. E, che derivino da queste ultime o anche da una fatica genitoriale più profonda, abbiamo appreso che possono lasciare segni sui bambini che vengono al mondo. Segni che restano. Un po’ come il clima, la genitorialità è in rapida trasformazione. In tutto il mondo, sia pure con velocità diverse. L’identità genitoriale è scossa, non si basa più su solide certezze, è a rischio. La genitorialità, intesa come insieme di conoscenze, attitudini, competenze e pratica, va protetta, sostenuta. Non si tratta solo di difendere i tassi di fertilità. Dobbiamo persuaderci che quello che “corre” tra genitori e figli ha molto peso, anche su questioni che apparentemente dipendono da altri fattori. Un esempio: pensiamo forse di essere stati e di essere governati da un giallo, da un verde o da un rosso? Non è così. O meglio, è solo in parte così. Siamo governati da qualcuno che è prima di tutto figlio di questo o quel genitore… a sua volta figlio di qualcun altro e della comunità di appartenenza. Ci hanno governato, e ci governano, quei bambini che poi, proprio perché “figli di”, si sono messi la casacca di questo o quel colore, hanno fatto e dicono e fanno questo e quello, in ragione della provenienza sociale delle loro menti e in buona parte delle esperienze fatte fin da piccoli. Una buona parte dei grandi problemi del nostro tempo, da quelli dell’economia a quelli dell’ambiente e dei conflitti, dipende dunque non poco da come i genitori si relazionano ai propri figli, si pensano come madri e padri, e da cosa le comunità intorno a loro hanno fatto e sono capaci di fare, o meno, per loro. Di queste comunità facciamo parte anche noi, operatori dell’infanzia, con un ruolo e una responsabilità aggiuntive. Vogliamo un modo migliore? Diamo una mano ai genitori affinché trovino risorse e sostegno per svolgere al meglio il loro difficile compito.


Pubblicato su:

Medico e Bambino
Ottobre 2019 – Volume XXXVIII – numero 8
Editoriali

[G. Tamburlini Genitori 2019. Medico e Bambino 2019;38(8):483-485 https://www.medicoebambino.com/?id=1908_483.pdf ]